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Unita’ di Dio nel mondo pagano – Parte prima

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“La loro fondamentale credenza è che nulla per sé esiste eccetto Dio; che l’anima umana è una emanazione della essenza di lui, la quale, benché dalla sua sorgente rimanga per un periodo divisa, pure sarà ad essa finalmente ricongiunta”(1).

In un nostro precedente lavoro (2), a cui rimandiamo per ulteriori approfondimenti, abbiamo mostrato che la dualità dei princìpi divini presenti nelle culture arcaiche, come Sole-Luna o Cielo-Terra, nonché la pluralità degli dèi, siano fasi successive – e quindi decadenti – della conoscenza primordiale ovvero del sapere tradizionale arcaico, il quale vede l’unità nella diversità di ogni ente, essendo i vari dèi, spiriti, dèmoni e altre creature, soltanto rappresentazioni pittoresche di aspetti dell’Unico Dio, o Uno, o Essere Supremo, il quale in sé contiene ogni cosa e che regge e governa la vita di ogni creatura. Tale dottrina era professata nel cuore dei templi del paganesimo mediterraneo, delle correnti tradizionali indiane, dei boschi del nord Europa dai druidi, in Estremo Oriente e ovunque la Tradizione Perenne si sia manifestata. Come ricorda il Rossetti a proposito dell’induismo, citando il bramino Rajah Rammohun Roy, “quelle tante deità maschie e femine, per le quali propugna, non son altro che accidenti dell’Essere Supremo; ma vorrebbe che tali accidenti, fossero venerati come veraci dal volgo, poiché il ciò fare è imposto a coloro che, per mancanza di retta intelligenza, non possono comprendere che Dio esiste in ogni cosa; cosicché questi tali debbono adorar Dio per mezzo di alcuni oggetti creati.”(3) Così un tempo il politeismo fu l’aspetto essoterico del monoteismo: il volgo si appoggiava alla forma degli dèi esteriori, gli iniziati la penetravano e comprendevano che essi altro non furono che le tante braccia dell’unica Essenza, scomposta in individui, animali, piante, cose, nature. Tale Essenza macrocosmica viene riflessa nel soggetto umano, il quale è immagine microcosmica dell’Uno. Come l’Uno contiene in sé ogni cosa, anche nell’uomo vi è ogni essenza in potenza: in taluni predominano certe energie, in talaltri altre, ma in tutti sono commiste e ciò che varia da individuo ad individuo, caratterizzandone forma fisica e temperamento, è la misura di ogni archetipo o influsso contenuto nel soggetto umano. Le dodici potenze zodiacali e le sette planetarie – più le due del cielo delle Stelle Fisse e del Primo Mobile – altro non sono che aspetti dell’unico Essere: essi si trovano nell’uomo in combinazioni e gradazioni differenti, così come nella natura: da tali potenze dipendono gli umori, i temperamenti, le attrazioni e le repulsioni, le arti, le scienze, i vizi, le virtù. Ad esempio sette (Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove, Saturno) più due (Cielo delle Stelle fisse e Primo Mobile), per un totale di nove, furono i cieli danteschi e della sapienza arcaica, avvolgenti la terra, così sette furono le scienze del Trivio e del Quadrivio (Grammatica, Dialettica, Rettorica, Aritmetica, Musica, Geometria, Astrologia) coronate da Fisica e Metafisica, ognuna di queste corrispondenti al rispettivo cielo e sotto la tutela di una delle nove muse.

Ogni cielo, pianeta, divinità, musa e via discorrendo, corrisponde ad un archetipo, una forza di cui è intrisa la natura, una manifestazione sensibile di un’essenza invisibile che modella e plasma la creazione. Ma tale essenza che si dona reggendo una fetta della Manifestazione, è parte integrante ed emanazione di un Ente più vasto, abbracciante ogni minuscolo frammento di vita che si manifesti in questo mondo. L’Essenza Suprema racchiude in sé caratteristiche e tendenze diverse, anche opposte secondo la visione umana, ma operanti per il conseguimento di un unico fine nel loro dispiegamento nel divenire. Tale fine è intrinseco nell’Unità che tutto racchiude: in esso non succede ma è ciò che nel divenire si consegue secondo il numero e il ritmo in una scansione che “riproduce plasticamente e in movimento ciò che nell’eternità non succede né si svolge, in quanto unità chiusa in Se stessa.”(4) Possiamo dire che ciò che nel divenire si manifesta in quanto conflitto ed armoniosa lotta fra opposte e distinte forze, nell’Uno è rinchiuso ed amalgamato come unicità inseparabile. Tale unicità deve scindersi per poter essere esperita dai propri sottomultipli percettivi, ovvero i vari enti che popolano il cosmo, e tale scissione comporta la parcellizzazione degli aspetti che fanno dell’Uno l’Uno e la loro apparente lotta. La lotta eterna di queste parti è in realtà una cooperazione che crea la dynamis che permette al mondo di essere, all’universo di esistere, alla manifestazione di dispiegarsi, all’anima caduta nel corpo di prender coscienza di Sé.
Dice un frammento di Eraclito che “Pòlemos di tutte le cose è padre: gli uni disvela come dèi e gli altri come uomini, gli uni fa schiavi, gli altri liberi.”(5) Pòlemos fu il nome che i greci diedero alla Contesa, personificazione della legge che muove il divenire cosmico nel suo cangiare e mutare d’aspetto. Se non vi fosse Contesa, ovvero lotta fra gli opposti e attrito tra gli enti, non si creerebbe la dynamis atta a far procedere il disegno cosmico. Soltanto nell’Uno, nell’Indifferenziato, nell’Unità Assoluta il conflitto cessa di esistere e la lotta tra gli opposti si risolve per quello che essenzialmente è, ovvero illusione. Pòlemos è una delle emanazioni dell’Assoluto, dèmone che agisce sotto l’influsso di Ares, il dio della guerra, il quale è sempre un’emanazione dell’Assoluto. Se Ares è uno degli archetipi primi, Pòlemos è uno degli archetipi secondi, ovvero una legge e una forza intrinseca nel divenire marchiata dalla segnatura marziale – Ares. Questa forza regge i rapporti tra gli enti e sostiene le dinamiche della vita naturale, dispiegantesi secondo l’archetipo marziale. Quindi l’Assoluto emana i princìpi primi, dai quali vengono emanati i princìpi secondi e così via, in una cascata discendente, ontologicamente sempre in atto. Queste emanazioni si allontanano sempre più dall’Essere che le contiene e da cui provengono, si attualizzano nel mondo secondo il loro ruolo di finalità intrinseca, rispondono soltanto al Disegno Supremo che è messa in atto secondo tempo, numero, ordine, ritmo e misura di ciò che l’Unità contiene in sé e per sé. I brevi cenni che abbiamo fatto riguardo Pòlemos ed Ares, potranno essere fatti parimenti su tutte le divinità maggiori e minori dell’Olimpo o di qualsiasi altro pantheon: si vedrà così che non tanti dèi ma un unico Dio, con innumerevoli attributi ed onnipervadente la Creazione, era il vero oggetto del culto degli antichi. Si badi che quando diciamo “unico Dio” non ci stiamo riferendo né ad un essere antropomorfo né alle concezioni cattoliche e bigotte del concetto di divinità.

Nella vita di ognuno, vi è un collegamento intimo di simboli tra avvenimenti, incontri e fatti di qualsiasi tipo, da quelli apparentemente più insignificanti a quelli più complessi, poiché in realtà tutto ciò che crediamo reciprocamente diverso e lontano, è in realtà la parte di un Tutto legato in sé e per sé da divina armonia. Questo Tutto impalpabile ma intuibile, ha “occhi ovunque” e agisce in ogni dove per le vie più misteriose: tale è il senso dell’onniveggenza divina. “Lui che con lo sguardo abbraccia l’universo intero […] Lui che in ogni dove ha gli occhi, in ogni dove il volto, in ogni dove le braccia e in ogni dove i piedi” (6) è detto in un inno del Rigveda, richiamando una concezione anche islamica di Dio, in particolare appartenente alla tradizione sufica, secondo cui Allah è ovunque: ogni cosa sarebbe un’ espressione formalizzata nello spazio e nel tempo della Essenza Suprema, inconoscibile, che si manifesta tramite le forme apparenti del divenire le quali, per loro stessa natura, prima o poi scompariranno, ritornando a solversi nell’Origine senza forma e senza nome (7). Similmente Iho, “Dio supremo dei polinesiani, è eterno e onnisciente; è grande e forte, è l’origine di tutte le cose, la fonte di ogni conoscenza sacra e occulta, e così via.”(8) Varuna, in un inno che lo celebra come divinità creatrice, è detto che “conosce la rotta degli uccelli che volano nel cielo […] conosce la rotta del vento […] lui che sa tutto, spia tutte le cose segrete, tutte le azioni e le intenzioni”(9). E nell’Atharva Veda è detto che Egli “ha contato anche i battiti d’occhi degli uomini”(10). I testi che parlano del persiano Ahura Mazda ci dicono essere onnisciente, “colui che conosce”, “dotato di un’intelligenza infallibile, onnisciente”. Nel testo tantrico del Kularnava-tantra troviamo che “Shiva è onnisciente e semplice, è il supremo Brahman e il creatore di tutto. Maya non lo altera e di ogni cosa egli è Signore. Solo e senza un secondo, egli è la Luce stessa. Nessun cangiamento in lui, nessun principio, nessuna fine. Egli è senza attributi e ancor più alto che il sommo. Essere, coscienza e estasi, di lui tutti gli esseri non sono che partizioni.”(11) Nei Frammenti Orfici è detto che “Uno solo è Zeus, Ade, Elios, Dioniso: un sol Dio è in tutti.”(12) Potremmo portare innumerevoli altri esempi e citazioni. 

 

Continua…

 

1. Sir W. Jones, On the Mystical Poetry of the Persians and Hindus.
2. Vedi S. Moggio, L’uomo alla Luce delle Cosmogonie Arcaiche, capitolo II.
3. G. Rossetti, Il Mistero dell’Amore Platonico del Medioevo, vol. I, p. 66.

4. L. M. A. Viola, Religio Aeterna, vol. II.
5. Eraclito, Fr. B 53.
6. Rigveda, x, 81
7. Cfr. ad es. Leo Schaya, La dottrina sufica dell’unità, Edizioni Mediterranee, Roma 2012 (I ed. 1962, Parigi) e il nostro già citato L’uomo alla Luce delle Cosmogonie Arcaiche, capitolo II.
8. M. Eliade, Miti, sogni, misteri, p. 173.

9. Rigveda, I, 25, 7 e sgg.
10. Atharva Veda, IV, 16.
11. Kularnava-tantra, traduzione di Arthur Avalon presente in Introduzione alla Magia, vol. I, op. cit, p. 77-78.
12. Frammenti Orfici, 239b.

 

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