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Polli in batteria

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POLLI IN BATTERIA
di Tom Bosco

Durante una recente e assai interessante conversazione col Professor Corrado Malanga, che molti di voi sicuramente conoscono per le sue ricerche in campo ufologico e ultimamente sostenitore di tesi piuttosto ardite e controverse (www.ufomachine.org), riferendosi all’attuale condizione della popolazione umana sul nostro pianeta egli ha usato la definizione di “polli in batteria”.
Difficile trovare un termine che descriva meglio di questo l’effettiva situazione in cui ci troviamo collettivamente: i poteri costituiti, rappresentati da una manica di burocrati totalmente corrotti e/o incompetenti, stanno letteralmente facendo il bello e il cattivo tempo alle nostre spalle, trascinandoci inesorabilmente verso il disastro finale, indipendentemente dal modo in cui si manifesterà.
I nostri cieli azzurri sono spariti, cancellati da criminali operazioni aeree di gigantesche proporzioni che rilasciano quotidianamente nella nostra atmosfera, come viene documentato ormai da molti anni, sostanze chimiche e biologiche di varia natura. Questa foto, ad esempio, documenterebbe la presenza di microrganismi recentemente rilevati in campioni di acqua piovana, presumibilmente raccolti con la massima attenzione alla possibile contaminazione dei campioni stessi
(http://straker-61.blogspot.com/2007/03/scie-chimiche-o-scie-biologiche-di-zret.html):

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Per aria, poi, succedono cose sempre più strane e difficilmente giustificabili come “normali scie di condensazione prodotte da aerei di linea”:

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Cieli sempre più “chimici” manifestano anomalie meteorologiche sempre più evidenti:

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Mentre si moltiplicano gli sforzi di scettici e debunker, impegnatissimi a cercare di dimostrare che il fenomeno non esiste e che tutti coloro che se ne interessano sono semplicemente una manica di paranoici della cospirazione, io sto ancora aspettando una spiegazione plausibile (e sottolineo plausibile) a immagini come quella che segue, che circola ormai da parecchio tempo e mostra come la scia prodotta dal velivolo non viene originata dai due propulsori ma si manifesta lungo tutto il bordo di uscita delle semiali:

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In questi giorni, comunque, a tenere banco è la questione dei quindici marinai britannici che si sono fatti “pizzicare” all’interno delle acque territoriali iraniane, o presunte tali: che le cose stiano in questi termini lo afferma Craig Murray, ex ambasciatore britannico in Uzbekistan nonché ex capo della sezione marittima del ministero degli esteri, il quale ha fatto notare l’ambigua dichiarazione del Commodoro Nick Lambert, comandante della task force della cosiddetta “coalizione”, il quale si trovava a bordo della HMS Cornwall quando, il 23 marzo, i quindici marinai in servizio su tale nave sono stati catturati. Poco dopo i fatti, costui ha dichiarato: “Non ho il minimo dubbio che si trovassero in acque territoriali irachene. Tuttavia, gli Iraniani possono legittimamente dichiarare che si trovassero nelle loro acque territoriali. L’estensione e la definizione di queste ultime in questa parte del mondo è assai complicata.”
Il suo predecessore al comando della task force, il Commodoro Peter Lockwood della marina australiana, in ottobre aveva affermato: “Non vi è un confine marittimo concordato tra i paesi.”
In poche parole è stato Tony Blair, dichiarandosi “assolutamente certo” che l’incidente sia avvenuto in acque territoriali irachene, ad aver trasformato velocemente quest’ultimo in una vera e propria “crisi”. Come si fa a dichiararsi sicuri su quale parte di un confine ci si trova se tale confine non è mai stato tracciato? Presentare una mappa coi confini territoriali precisamente contrassegnati da una linea rossa e con le coordinate del luogo dell’incidente, come ha fatto il Ministero della Difesa britannico, è una frode: tali confini non sono mai stati concordati o riconosciuti da alcuna autorità internazionale. Si tratta soltanto di confini ipotetici.

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Per non parlare poi dell’indignazione suscitata dalla diffusione da parte delle televisioni iraniane delle immagini con le “confessioni” dei marinai: non mi sembra di ricordare tutta questa indignazione quando circolarono le immagini dei prigionieri di Guantanamo, o delle torture ad Abu Grahib, o della cattura di Saddam Hussein, o quando si cercava di ridicolizzare ed umiliare l’apparato iracheno distribuendo i mazzi di carte con le foto dei “ricercati” o affibbiando loro nomignoli come “Dottor germe”, “Alì il Chimico” ed altre amenità del genere…
L’attuale crisi, che qualcuno identifica come “l’Incidente del Tonchino” di cui si vociferava da tempo, è stata innescata l’11 gennaio scorso da un blitz delle forze armate americane in un ufficio iraniano nella città di Arbil, nel Kurdistan iracheno, nel corso del quale catturarono cinque funzionari tuttora detenuti con l’accusa di spionaggio. In realtà l’obiettivo del blitz era ben più ambizioso, essendo stato pianificato per catturare due importanti personaggi delle strutture di sicurezza iraniane: secondo alcuni ufficiali curdi, si trattava di Mohammed Jafari, il potente numero due dell’Iranian National Security Council, e del Generale Minojahar Frouzanda, capo dell’intelligence dei Guardiani della Rivoluzione. I due si trovavano in visita ufficiale, durante la quale si sono incontrati col presidente iracheno, Jalal Talabani, e poi con Massoud Barzani, presidente del Governo Regionale Curdo (KRG).
Potete ben immaginare quanto siano contrariati gli iraniani: sarebbe come se loro avessero tentato di rapire i capi della CIA e del MI6 durante una loro visita ufficiale in un paese confinante, come il Pakistan o l’Afghanistan. Ma naturalmente questo genere di notizie non trova molta diffusione sui media occidentali, affaccendati come sono nel costruire l’immagine di un Iran “isolato” dalla comunità internazionale. Guarda caso, il raid di Arbil è avvenuto poche ore dopo un discorso alla nazione di George Bush, nel quale il presidente ha affermato: “L’Iran sta fornendo appoggio materiale per gli attacchi alle truppe americane.”
Sia quel che sia, non so cosa pensare: le recenti informazioni di fonte russa, secondo le quali gli USA attaccheranno l’Iran alle 4 del mattino del 6 aprile con un’operazione denominata “Operation Bite” mi lasciano perplesso e per certi versi scettico. Ad esempio, mi sembra di aver letto che una parte dell’attacco verrebbe condotta da una squadriglia di B-52 provenienti dalla base di Diego Garcia, ma se è vero che il sistema di difesa antiaerea iraniano è stato recentemente aggiornato con sofisticati sistemi d’arma di fabbricazione russa, a quali perdite andranno incontro degli aerei in servizio ormai da mezzo secolo, lenti, poco manovrabili e così grandi da produrre un’impronta radar significativa sugli schermi della difesa aerea iraniana?

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La scoperta dell’acqua calda però va sicuramente attribuita a un ufficiale della marina statunitense che recentemente ha sottolineato il pericolo rappresentato dai missili antinave SS-N-22 Sunburn di fabbricazione russa, dei quali si presume l’Iran sia ben dotata. In pratica, non esiste difesa contro quello che è stato definito il più sofisticato e letale missile antinave esistente al mondo.

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Il Moskit, questa la sua denominazione russa, viaggia a Mach 2,5, ha un carico utile di 300 Kg e un raggio d’azione che varia fra i 120 e i 250 Km. È progettato per seguire traiettorie di volo che includono manovre estreme per eludere le difese antimissile del nemico, in particolare il sistema Aegis statunitense. La combinazione tra carico bellico e velocità supersonica all’impatto produce una tremenda quantità di energia cinetica, al punto da rendere possibile ad uno solo di questi missili di affondare una grossa nave, forse persino una portaerei. Gli iraniani poi posseggono anche il “fratellino maggiore”, ovvero l’SS-NX-26 Yakhont (velocità 2,9 Mach, raggio d’azione intorno ai 300 Km):

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Nel caso di un attacco da parte degli USA, potete immaginare da soli a quale massacro vadano incontro le portaerei statunitensi e le loro navi di scorta attualmente in navigazione nel Golfo Persico, potenzialmente esposte al tiro di centinaia di missili Exocet, Sunburn e Yakhont dalle vicine coste iraniane. Per questo sono perplesso: queste informazioni girano da un paio d’anni, io stesso me ne sono già occupato, ma se questo scenario dovesse mai concretizzarsi, quali conclusioni dovremmo trarne? Forse che, in spregio alle vite umane sacrificate, si manda alla rottamazione una parte dell’arsenale onde ingrassare le industrie belliche con nuove, ricche commesse per l’ammodernamento e la ricostituzione delle varie forze armate? Ricordo che a Pearl Harbour, ad esempio, durante l’attacco giapponese stranamente mancavano dalla rada proprio le portaerei, fiore all’occhiello della flotta del Pacifico. Anche se i danni inflitti dai giapponesi furono ingenti, ad essere distrutte furono principalmente le corazzate, navi che le nuove dottrine della guerra aeronavale rendevano ormai obsolete. In quelle corazzate, tuttavia, perirono tragicamente migliaia di marinai…
Ad ogni modo, non resta che aspettare l’evolversi degli eventi per capire come collegare fra loro tutte queste notizie e quanto ci sia di plausibile nei nostri ragionamenti.

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Nel frattempo, qui in Italia potremmo prendere ispirazione da quanto accade negli USA, dove periodicamente si riuniscono a manifestare davanti al Congresso un gran numero di persone abbigliate come “V”, il protagonista del bellissimo film “V per Vendetta”: come si dice, a buon intenditor…

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