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L’impiccagione della verità di Pablo Ayo

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E allora, geniale, risolutiva, lenitiva dei nostri animi afflitti, pesanti di eterni sensi di colpa atavici, arriva la menzogna. Vero perno ideale della società contemporanea, specchio distorto e fumoso attraverso il quale il male ci sembra bene, lo sbagliato diventa giusto, l'inaccettabile si trasforma in assodato.
Queste, e altre riflessioni, mi sono giunte in mente guardando, questa mattina, il video dell'esecuzione di Saddam Hussein. Un video crudo, livido, che ha il sapore delle prime ore del mattino, quando la luce del sole ancora deve sorgere, e nella penombra cinque persone si muovono furtive e col volto nascosto, di fretta, agendo quasi come dei ladri, per commettere quello che i governi occidentali definiscono 'un atto di giustizia.’ Un atto di giustizia dovrebbe essere caratterizzato da ciò che la parola stessa 'giustizia' conferisce: serenità, equilibrio, senso di pace e di fiducia in un sistema di cose che tutela tutti allo stesso modo, garantendo il normale fluire della vita civile. Questo correre nel buio coi volti coperti, questo gettare il video in pasto ai telegiornali come se fosse una cosa normale, questa fretta insolita (per l'esecuzione si parlava di Febbraio) che sa più di paura per una eventuale sommossa atta a liberare l'ex Rais che di serena gestione della giustizia, questa impiccagione che oltre i diritti civili viola anche le ultime volontà del condannato, che senza troppe pretese di salvezza aveva solo richiesto una più civile fucilazione.
Sappiamo bene che Saddam Hussein era un dittatore, che ha compiuto efferatezze innominabili, che ha vissuto nel lusso per anni costringendo il suo popolo a una indigenza forzosa, che ha ordinato stragi e leso diritti civili, e nella mia retorica non c'è il rimpianto per un brav'uomo che se n'è andato. Sostengo però che, come contraltare ideale alle ingiustizie varie del Raìs – tra cui esecuzioni capitali ed impiccagioni – io avrei fatto dello stesso sistema di giustizia, dello stesso modo di trattarlo, un preclaro esempio di differente gestione del sistema pubblico, della rinnovata e serena fiducia in una società civile. Ma, a lanciarlo nel vuoto, oltre quella botola, dietro le mani sudate e nervose dei suoi compaesani boia che lo hanno spinto giù dalla forca, nel punto in cui il suo collo si è spezzato di colpo, c'erano altre mani, altre menti. Dietro l'attuale governo Iracheno c'è l'amministrazione Bush, che proprio ieri col conteggio dei soldati morti in Iraq ha raggiunto e superato il numero dei morti nelle Torri Gemelle. Una amministrazione frettolosa e nervosa, come i boia, perché il mandato di George W. sta per scadere, perché l'ONU e l'opinione pubblica incalzano, perché i barili di petrolio estratti da quel lembo di terra bruciata dal dolore e dalle autobombe, che ben altra gloria conobbe in tempi lontani, ormai sono abbastanza, e come fanno i ladri quando hanno il fiato sul collo, sentono che è ora di prendere il bottino e scappare. Perché ora hanno sancito la fine di un'epoca, hanno ucciso il dittatore, quel feroce mastino che, con molti sforzi politici ed economici, gli stessi USA (nella forma e persona degli agenti della CIA e di Rumsfield) hanno contribuito a mandare al potere, e a mantenercelo per anni. Volontà di appoggiare il Raìs iracheno che è durata negli anni, dato che era anche gradito a Mosca. Inspiegabile, altrimenti, l'incredibile ritirata delle truppe di Schwarzkopf dall'Iraq, a sole due ore di marcia da Baghdad, nel 1991. C'erano (e ci sono) degli enormi interessi, a riguardo.
Quando gli interessi per mantenere Saddam Hussein al potere sono venuti a mancare, l'amministrazione Bush ha scatenato, nel novero delle 'ripercussioni' post 11 Settembre, la guerra contro l'Iraq di Saddam, accusato di possedere armi di distruzione di massa. Ma ai marines americani, sui camion e sui carri armati che attraversavano il confine, veniva detto di togliersi le maschere antigas, perché tanto Saddam non aveva il Sarin, nè altre armi batteriologiche. Era il segreto di pulcinella, lo sapevano tutti, ma tutti tacevano.
Ci sono i violenti, i fanatici e i pazzi, è vero. Ma poi esistono i furbi, che mettono in mano ai violenti un M16 e una bandiera sul braccio, e li chiamano soldati. Agitatori di piazze che mettono in mano ai fanatici dell'esplosivo, e li convincono a morire per una crociata che puzza più di zolfo che di acqua santa. Orchestratori in giacca e cravatta che prendono i pazzi, li fanno andare all'università a laurearsi, li portano nei circoli buoni, gli insegnano l'arte di intimidire il prossimo e di esercitare il braccio di ferro, li fanno acclamare dalla folla fino a quando non diventano leader indiscussi. Poi, finita la loro utilità, li rimandano al fato che era loro segnato fin dall'inizio. Così morì Robespierre alla ghigliottina, così vennero uccisi tutti i rivoluzionari (a rivoluzione terminata) per permettere alla storia, o alla burocrazia, di passare avanti e assicurarsi i pieni poteri. L'uomo sul terrazzo che agita il fucile, lo capite bene, serve a spaventare, è la versione moderna dello spaventapasseri, e come lui, qualcuno l'ha messo lì di guardia, a spauracchio di qualcosa o qualcuno che poteva turbare la crescita del proprio grano. Ma avrà creduto, nella sua vita di paglia, lo spaventapasseri, di avere davvero autonomia? O avrà capito tardi, che quando entri nel gioco con l'aiuto di qualcuno, il qualcuno diventa padrone del tuo gioco?
Paradossalmente, ciò che rimarrà in testa ora alla gente sono gli ultimi gesti di Saddam, una preghiera ad Allah, la vocazione di fede dei musulmani "Dio è grande, non vi è altro Dio al di fuori di Allah", le sue mani tese a chiedere forse più pace a sé stesso che al cielo, e le ultime parole, rivolte al suo popolo, che ora scopre essere l'unico vero suo interlocutore che forse, in tanti anni, e a dispetto di tante sofferenze, ancora lo ascolta, almeno in parte. "Rimanete uniti, non perdete la speranza… e non abbiate paura". Ironicamente, anche se dubito che Saddam ci abbia pensato in quei momenti, furono anche le ultime parole di Karol Woytila, o almeno così ci dicono.
Quello che so è che Saddam poteva vivere agli arresti, ma probabilmente sapeva troppo, troppe parti del processo non usciranno mai alla luce del sole, e ora qualsiasi segreto l'ex Raìs conoscesse, è scomparso con lui. Quel silenzio complice, oscuro e ammuffito, che sa di cimitero e di corruzione, questa morte politicamente conveniente e disgustosa da un punto di vista etico e morale, è stata definita da George W. Bush come "Una pietra miliare sulla strada della democrazia". Quando la democrazia la porteranno i filosofi e non i soldati, e la pace sarà distribuita dai brav'uomini e non dai proiettili 7.76, allora le pietre miliari sulla strada della democrazia saranno le conquiste civili e sociali, come quelle ottenute da Ghandi, Malcom X, Martin Luther King e John Kennedy. Casualmente, sono tutti morti di morte violenta, falciati come alberi abbattuti dalla pesante scure della civiltà occidentale, che vuole comprare scarpe alla moda o oggettini di alta elettronica a prezzi convenienti, senza sapere chi è che in Corea o in Thailandia guadagna 3 dollari al mese per fabbricarli. Poi, a Natale, siamo tutti più buoni, e al prete a fine messa magari diamo anche una lauta offerta. La coscienza è pulita, la messa è finita, la democrazia fa la sua strada e un dittatore è morto. In quanto a me, non chiedetemi nulla: non sono qui per lodare Cesare, ma per seppellirlo.

"Gli storici diranno di me che sono un bugiardo,
ma a scrivere la storia sono gli stessi
che hanno impiccato degli eroi" (dal film Braveheart)

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