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L’ASSURDO di Paolo Cortesi

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Se io volessi parlare
degli
spigoli di una circonferenza, farei un discorso assurdo. Ma sarebbe non
meno
assurdo un commento sulla strage dei ragazzi di Beslan, perché
non si può
razionalmente parlare di ciò che è opposto ad ogni
caratteristica umana.

Non intendo parlare della
efferatezza di quella carneficina, non solo.

Non voglio parlare del
dolore
infinito che certi episodi continuano a ispirare, pur se siamo ormai
esposti ad
un continuo carosello di scempi e di tragedie.

Vorrei parlare della
evidente
follia dell’attacco alla scuola in Ossezia: colpire i bambini, da
sempre,
scatena una rabbiosa furia di vendetta; scatta in ciascuno di noi –
soprattutto
se genitore – l’atavico meccanismo che fa combattere fino alla morte
per la
difesa delle proprie creature; si toccano insomma energie e meccanismi
profondi, inconsci, ancestrali: fare del male ad un bambino è
l’abisso della
malvagità e, istintivamente, ripugna come nient’altro.

Dunque, chi prende in
ostaggio dei
bambini, in una scuola, con i loro insegnanti commette politicamente il
più
idiota dei suicidi, perché si attira automaticamente
l’esecrazione di tutti,
anche di chi avrebbe avuto forse interesse o indulgenza verso le
rivendicazioni.

Beslan è un
nuovo, mostruoso
capitolo di un copione che potremmo intitolare “La follia al potere”.

Noi, ora, stiamo vivendo
in un
mondo che ha globalizzato non solo l’economia (e l’ha globalizzata ad
esclusivo
beneficio dei capitalisti), ma ha diffuso un’allucinata condizione di
costante
assurdità.

Chi governa, chi detiene
il/un
potere sufficiente ha deciso di stravolgere il senso comune, le regole
non
scritte della civiltà umana: è assurda l’invasione
americana dell’Iraq, è
assurda la ferocia fondamentalista, è assurdo il massacro degli innocenti di Beslan, è
assurda la tentazione
di indicare “il cattivo” e di sterminarlo con nuove crociate, è
assurda
l’illusione che basti essere armati fino ai denti per avere sicurezza e
pace.

E che tutto ciò
sia assurdo non lo
dice un intellettuale in vena di moralismi; lo dimostrano i fatti, lo
certificano gli eventi, lo urlano i poveri corpi straziati di centinaia
di
bambini, uomini, donne maciullati a Beslan.

Da tre anni a questa
parte, il
caos è la strategia del potere, sia che si autodefinisca
legittimo e
democratico, sia che venga condannato come terrorismo.

Se esaminiamo
sommariamente le
azioni “forti” degli Usa, dobbiamo constatare che l’amministrazione di Bush jr
ha imboccato gagliardamente la via dell’assurdo, scatenando una guerra
il cui
esito era del tutto imprevedibile.

I neocons immaginavano
(forse
ispirati da qualche versetto biblico o da una nuova interpretazione
dell’Apocalisse, opera da loro prediletta) che in Iraq sarebbe stato
come
nell’Europa del 1945, con le folle festanti ad accogliere i liberatori.

Non era difficile capire
che il
parallelismo era assurdo.

Ma si è trattato
di banale
imbecillità, o forse c’è qualcosa che non appare subito
evidente?

Io credo che tutta la
confusione
delirante che avvelena i punti caldi della terra non sia casuale, non
sia
affatto una variabile impazzita o una funzione sfuggita al controllo e
alla
previsione. Io credo, al contrario, che questa assurda politica
neocolonialista
sia stata voluta dai neocons, e che il caos attuale (chi è
nemico di chi? chi è
amico di chi?…) sia l’ambiente più favorevole al folle sogno di
potere mondiale
cui mirano i neocons statunitensi.

In una situazione di
paura
costante e diffusa, i benpensanti chiedono più polizia e
più soldati. Non si
chiedono, queste anime elette, chi e perché abbia innescato
questa assurda
spirale di terrore e violenza. No, questa riflessione è troppo
profonda per le
loro teneri menti, abituate ad una ricettività passiva da pecore
(o da
telespettatori, il che è la medesima cosa): nelle loro menti
ottuse, vi è il
Capo che comanda e quello che dice lui va bene per tutti; se non ti va
bene,
non sei dei nostri, sei un nemico, vai eliminato.

Credo che nelle
tribù più
primitive della Nuova Guinea vi sia un’analisi sociopolitica più
raffinata.

I benpensanti reclamano
un
poliziotto ad ogni angolo, chiedono telecamere, controlli ed ispezioni
e dicono
“tanto non ho nulla da nascondere”; ma provate a chiedere loro notizie
sui loro
conti correnti, sugli stipendi, sui titoli azionari e gli immobili che
possiedono, provate a proporre una tassa (magari per dotare di armi
più potenti
le loro adorate forze dell’ordine) e vedrete di questi galantuomini un
aspetto
del tutto inedito, molto più nervosetto e virulento di quello
del bravo
patriota e giudice esemplare.

E’ questa, grosso modo,
la base
elettorale più consistente di tutte le forze reazionarie e
conservatrici in
tutto il mondo.

Questa massa (cioè
questa massa di
voti sicuri per certi politici) non riesce a sostenere il peso di una
analisi
politica più articolata del “io buono-tu cattivo-tu devi morire”.

Questa massa non avverte
l’assurdo
indotto, ma trova soltanto dei nemici da abbattere. Questa massa
è spaventosa
perché coagula e aizza gli istinti più bestiali della
specie umana. Sono gli
stessi che nell’Ottocento linciavano il primo disgraziato trovato per
strada e
poi tornavano tranquilli e soddisfatti nelle loro case, ad accarezzare
la nuca
del pupo.

In un mondo in cui le
relazioni
fra stati (e fra individui) sono state manipolate e spinte al caos,
domina solo
la minoranza che ha creato questa situazione. Oligarchie di petrolieri
texani
mandano a combattere e a morire soldati americani contro “irregolari”
mandati
alla guerra da oligarchie di miliardari islamici.

La gente è
plastilina nelle mani
di spietati gruppi di potere che non riconoscono alcun vincolo morale,
che
considerano le vite altrui come strumenti: come un martello, un
cacciavite…

Nell’assurdo si possono
fare
assumere valori a piacere: poiché nulla è definito e
stabile, tutto può essere
chiamato arbitrariamente: l’invasione di un paese si chiama missione di
pace;
la guerra di chi vuole cacciare l’invasore si chiama terrorismo; il
maniacale
controllo governativo sulla popolazione si chiama misure di sicurezza;
il
sequestro di persone pacifiche e inermi si chiama lotta di liberazione:
è il
delirio elevato a sistema di dominio.

Davanti all’assurdo che
dilaga, la
sola interpretazione che riesco a formulare è che si tratti di
una strategia di
dominio. Oggi non è più possibile additare un solo
nemico; la guerra fredda è
finita e le due superpotenze (ma la Russia è ancora una
superpotenza?) hanno
dovuto inventare nuovi scenari guerreschi per continuare a dominare il
pianeta.

L’America dei neocons ha
superato
l’ultima barriera della ragione e della logica ed ha inaugurato la
più
grandiosa delle guerre: una guerra totale contro un nemico sconosciuto
ma
terribile.

Chiunque, perciò,
può essere un
nemico, come ad esempio l’alleato di ieri (Saddam). In
questo clima di allarme
perenne, il potere statale può imporre ogni legge, ogni
arbitrio, ogni sopruso
sotto il velo della necessità di difesa.

Cambia il nome e il volto
del
Nemico, non cambia la assurda follia di vivere combattendo un nemico,
anzi di
esistere solo se si combatte un nemico.

Il sogno imperiale
statunitense
non nasce certo con Bush
jr. Già nel 1945 il generale H. H. Arnold, comandante
in capo dell’Aeronautica militare Usa durante la guerra, pensava che
“per poter
usare con profitto la nostra aviazione strategica dobbiamo avere basi
in tutto
il mondo, localizzate in modo da poter raggiungere qualsiasi obbiettivo
che ci
venga ordinato di distruggere” (“Global mission”, Harper and Bro.,
1949, pagg.
586/587).

Un geopolitico Usa, John
Kieffer,
scriveva nel 1952: “Noi dobbiamo arrivare nei più lontani angoli
del globo. Le nostre
truppe devono essere presenti sul territorio di decine di altri stati.
Le
nostre prime linee di difesa devono trovarsi a migliaia di miglia dai
nostri
confini. La geopolitica è nella sua essenza opposta ai principi
del diritto
internazionale. Dal punto di vista della geopolitica l’unica legge che
lo stato
può seguire è la legge della forza: ho bisogno, voglio,
prendo”. (“Realities of
world power”, D. Mc Kay, 1952).

Davvero edificante, non
c’è che
dire!…

I falchi misticheggianti
dell’amministrazione Bush
jr hanno imparato questa bella lezione, e l’hanno
messa in pratica: basta con la prudenza, basta con la ragionevolezza,
basta con
la cautela: usiamo la forza e usiamola senza scrupoli. E il primo
prodotto di
questa furia bellicista è stato il diffondersi convulso
dell’assurdo, del caos,
dell’imprevedibile.

Ma tutto ciò
è stato ed è tuttora
funzionale all’infame progetto, tanto che si può dire che il
caos sia un’arma
che hanno voluto impiegare per coprire le loro gravi
responsabilità e per
ottenere la sottomissione e la docilità delle masse, secondo il
vecchio assioma
“o con me o contro di me”.

Insomma: Bush agita lo
spauracchio
del caos mondiale, della minaccia terrorista, degli attacchi suicidi
che
possono colpire ovunque e sempre. Ma quanto il suo governo ha
contribuito a
creare questa situazione drammatica?

Se io fossi un parente di
uno
degli oltre mille morti americani in Iraq vorrei rivolgere questa
domanda a
Mister President.

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