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La scimmia col gilet è una caricatura. E sfocia nell’eugenetica di Giuseppe Sermonti

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Sono stato per alcuni anni animalista, per semplici ragioni di pietà. Trovavo e trovo orribile che alcune povere bestie siano sottoposte a esperimenti strazianti, che hanno una discutibile utilità medica e servono soprattutto a produrre pubblicazioni per la carriera degli sperimentatori. Ciò mi pareva particolarmente infame nei confronti delle nostre sorelle scimmie, benché non abbia mai assistito ad alcun esperimento che le coinvolgesse. Ma gli ululati dei cani provenienti dallo stabulario dell’Istituto di Sanità mi sono rimasti nell’anima dopo cinquant’anni.

Mi sono allontanato dall’animalismo quando ho cominciato a sentir parlare dei “diritti” degli animali, di una sorta di omologazione giuridica di uomini e bestie, da cui l’uomo emergeva come un animale con qualche diritto in più, conquistato con la prepotenza. Ho sentito parlare e ho letto di qualcosa come un diritto di voto esteso agli scimpanzé, e, dal lato opposto, ai robot. La pietà, e sino l’amore, nei confronti degli animali, è sentimento rispettabile ed è una via per avvicinarci alla fratellanza universale e a Dio, come ci ha insegnato san Francesco. Un cane può essere modello di affetto e di fedeltà. Dare a questi sentimenti una sanzione burocratica e legislativa offende il nostro diritto e ridicolizza la scimmia. La scimmia col cilindro e col gilet è stata per qualche tempo la caricatura del darwinismo.

Un mese fa la commissione ambientale delle Cortes spagnole ha preso in carica un progetto di liberazione animalista, intitolato alle grandi scimmie (Great Ape Project). Il particolare riguardo riservato agli scimmioni ha certamente origine dalla nozione darwiniana che da essi deriviamo attraverso il processo evolutivo, che di essi siamo eredi e non di un mitico Adamo. Benché quella nozione sia stata smentita definitivamente, se non altro perché l’uomo è comparso sulla terra milioni di anni prima degli scimmioni, essa è rimasta nel nostro subconscio e nella nostra subcultura. Quello che preoccupa nell’accesso delle scimmie al nostro diritto è l’invasione della legalità zoologica nella nostra filosofia e nel nostro diritto. Scrisse Darwin nei suoi appunti: “Origine dell’uomo ora dimostrata. La metafisica deve fiorire. Chi comprendesse il babbuino farebbe per la metafisica più di quanto abbia fatto Locke.” E la metafisica del babbuino ci insegna che (è sempre Darwin) “l’origine della nostra specie è la causa delle nostre passioni malvagie. Il diavolo sotto forma di babbuino è nostro nonno”.

Il rischio che l’adozione del Great Ape Projet fa intravedere non è tanto quello di vedere una scimmia seduta in Parlamento. E’ quello di vedere insinuarsi nelle nostre leggi la metafisica del babbuino. Quella metafisica, promossa dal cugino di Darwin, Francis Galton, conosce una sola forma di elevazione e miglioramento, l’eugenetica, cioè l’eliminazione dei difetti e dei difettosi. “La nostra razza dovrà liberarsi del marchio ereditario dovuto alla sua primitiva barbarie, – scrisse Galton – prima che i nostri discendenti possano raggiungere la posizione di membri liberi di una società intelligente”.
La giurisdizione zoologica, quanto meno quella delle Grandi Scimmie, tenderà ad affacciarsi nel Corpus Juris Civilis di Giustiniano, via via dissolvendo i concetti di colpa e di responsabilità, e sostituendoli con quelli di difetto genetico e di residuo animalesco.
Delitto e castigo diverranno pregiudizi superati dalla lombrosiana genetica della criminalità, e la Giustizia sarà sostituita da qualcosa come una Classificazione naturalistica delle tendenze congenite, che avrà stabilito il nostro debito prima dell’esperienza della vita.


Il Foglio, 23 luglio 2008
Sull’argomento l’autore ha pubblicato “Il Tao della Biologia: saggio sulla comparsa dell’uomo”, Lindau, 2007.
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