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La lotteria della vita – di Paolo Cortesi

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La notizia è questa: un supermercato italiano mette in palio un posto di lavoro. E' una vera e propria lotteria (o meglio: estrazione a premi) ed il vincitore verrà assunto dal supermercato in una qualifica che non credo sarà dirigenziale.
L'iniziativa non è inedita: già altre ditte hanno recentemente fatto lo stesso. La partecipazione del pubblico è stata enorme: centinaia di migliaia di tagliandi presentati per un posto di commesso/a.
I commenti sono fin troppo facili. E sono tutti tristissimi.
Il lavoro è oggi un miraggio, un premio remoto e fantastico (come il favoloso milione del Signor Bonaventura!). Un tempo -diciamo fino alla metà del secolo scorso: un passato preistorico….- un tempo il lavoro era fonte di emancipazione sociale, affermazione della persona nei suoi suoi diritti fondamentali. Il lavoro era un'espressione nobile e grande della dignità umana, tanto che la Costituzione dichiara che la Repubblica italiana è fondata sul lavoro.
Oggi, il lavoro è un terno al lotto. Non conta quanto sei bravo, quanto hai studiato, quanto sei onesto. Conta solo la casualità di un numeretto pescato fra centinaia di migliaia di altri numeretti.
Questo, si dice, è dovuto alla drammatica spirale di disoccupazione che la crisi ha innescato. Certo è così, e adesso non parliamo dei motivi reali di questa crisi. Il lavoro, dunque, scarseggia così tanto e così numerosi sono i candidati ad una qualsiasi occupazione, anche modesta, che non resta che l'estrazione a sorte. Ma c'è un altro motivo profondo per cui questa scellerata pratica non solo si sta diffondendo ma diventerà col tempo quasi normale.
I potenti hanno interesse a imporre una "cultura fatalistica" secondo cui tutto ciò che noi persone comuni possiamo fare è aspettare e sperare (al più, supplicare un potente).
I potenti vogliono dividere la società in due parti: una minoranza di ricchi e potenti che fa quello che desidera, pianifica la propria vita, ottiene ciò che desidera, si impone. Dall'altra parte, una massa di pecore rassegnate, gente che può solo sperare nella buona sorte, o nella benevolenza del potente.
Ricordate le tragiche immagini di Haiti dopo il terremoto? da un camion, alcuni soldati gettano a casaccio pacchi di viveri alla folla brulicante, accalcata, selvaggia, che si contende a pugni una scatola di carne o un pacco di zucchero…
Questa è la società che i potenti stanno disegnando per noi: loro svettano sulla palude in cui uomini e donne si affannano a sopravvivere; loro gettano a caso  tra la massa un lavoro, fingono di essere buoni e caritatevoli, in verità questa loro falsa pietà è funzionale al loro status di intoccabili: sono i grassi padroni che gettano al cane sotto la tavola ossi e scarti che loro non mangerebbero mai.
Aspetta con sottomissione e fiducia, dicono i potenti, forse la prossima volta toccherà a te essere "fortunato" (grande fortuna avere un lavoro malpagato, non gratificante, oscuro!!). Nella sciagurata società italiana d'oggi, l'azzardo è diventato un modo di vivere, e la cosa più insopportabile è che questa infamia è organizzata proprio dallo stato, che moltiplica le lotterie istantanee, i gratta e vinci, le giocate, le scommesse, le riffe…
La droga è giustamente deprecata come un flagello sociale; ma chi alzerà la voce contro la droga della assurda speranza nella lotteria?
L'allucinante laboratorio sociologico in cui siamo rinchiusi sta accelerando la sua corsa verso l'abbrutimento. Il nuovo feudalesimo ha un mezzo in più per mortificare e schiacciare. Mentre i potenti vivono una vita da sogno fra lussi, impunità e sfarzi, le persone normali sono costrette a sperare che solo un eccezionale colpo di fortuna cambi la loro vita grigia. Il potente non deve sperare, gli basta volere. Il potente non deve affrontare il timore del futuro di cui nulla lo spaventa, perché ha i mezzi per superare ogni difficoltà.
Il potente è sempre più assimilato a dio, e la gente comune conosce l'inferno in vita.
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