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Io, pacifista alla Gino Strada di Vauro

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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Interventista
umanitario da prima linea o prossimo leader politico
girotondista-cofferatiano? «Solo un chirurgo che intende continuare a
farlo», risponde il fondatore di Emergency. «Ma non c’è alcuna legge
che impedisca di pensare e di esprimere opinioni»
(www.ilmanifesto.it)

Allora Gino, sto intervistando un chirurgo, uno dei fondatori di
una organizzazione umanitaria, oppure il leader politico di un nuovo
schieramento?

Non scherziamo, io faccio il chirurgo, e intendo continuare a farlo.
D’altra parte non c’è alcuna legge, almeno per ora, che impedisca a un
medico di pensare, e di esprimere le proprie opinioni, anche riguardo a
questioni fondamentali come la pace e la guerra. Faccio questo mestiere
da quindici anni, e mi sono trovato ad operare a più riprese in almeno
dieci conflitti: ho visto la stessa cosa ovunque, il massacro dei civili
a causa di guerre dichiarate per ragioni diverse. Le opinioni che noi di
Emergency abbiamo sulla guerra nascono dall’aver conosciuto le sue
vittime, dal vederle ogni giorno nei nostri ospedali, dal vivere la
guerra da vicino. Chi giustifica la guerra, chi esalta le «belle cose»
prodotte dalla guerra mente spudoratamente.

Un esempio?

Prendiamo la guerra in Afghanistan. «Adesso le donne sono libere dalla
schiavitù del burqa» ha sentenziato qualcuno. E’ per questo che è
stata fatta la guerra? Si bombarda un Paese perché il burqa diventi una
libera scelta anziché un obbligo o una tradizione? In ogni caso, ti
assicuro che molte più donne sono state ferite o uccise dalle bombe
americane in Afganistan, di quante si siano tolte il burqa dopo l’arrivo
dei marines, semplicemente perché il 99 percento delle donne afgane
pensa che quella del burqa sia una ossessione occidentale. «Adesso,
almeno, le bambine possono studiare» pontificano molti che in
Afganistan non hanno mai messo piede. L’istruzione femminile è un
problema che non nasce con l’11 settembre, né con i talebani. Emergency
sta costruendo scuole femminili in alcune zone rurali dove le bambine
non sono mai andate a scuola, e ancora oggi non tutti i genitori sono
d’accordo che ci vadano. Che cosa si dovrebbe fare, mandare altri B-52
per convincerli? Qualcuno non crede che sia così? Prenda un aereo e
venga a vedere: possiamo anche fornirgli supporto logistico e ospitalità.

Credo che le illazioni sul fatto che Emergency sia una
organizzazione politica siano iniziate all’indomani della vostra scelta
di rifiutare «il denaro della guerra» cioè i finanziamenti del
governo che aveva deciso, forte di una larga e trasversale maggioranza
parlamentare, la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan. In
effetti non si può dire che quel rifiuto non fosse una scelta politica.
O sbaglio?

Direi piuttosto che é stata una scelta etica. Emergency non accetta di
fare il «reparto cosmesi» della guerra, non accetta il danaro offerto
con una mano sinistra da chi spara con l’altra. Per gli stessi motivi,
rifiuteremmo i soldi della Fiat per curare le vittime delle mine
antiuomo da loro prodotte, o quelli della Nestlé per curare i neonati
che rischiano di morire per il suo latte in polvere. Se può
tranquillizzare qualcuno, vorrei aggiungere anche che Emergency ha
mantenuto la stessa posizione nel caso della guerra in Kosovo,
rifiutandosi di partecipare al banchetto della famosa Missione
Arcobaleno.

Va bene, però c’è chi dice che quelli che voi avete rifiutato
erano soldi dei contribuenti, non del governo…

So che su questo problema ci sono opinioni diverse. L’Afghanistan è
pieno di organizzazioni pronte ad accettare i soldi della guerra: se ne
sono andate dopo l’11 settembre, per rientrare qualche mese dopo
nella «Kabul liberata», e molte altre sono arrivate per la prima volta
nel paese solo dopo i marines. E’ un loro problema, noi abbiamo la
nostra etica, e abbiamo il diritto di averla. Peraltro, crediamo sia
largamente condivisa, visto il crescente sostegno, anche economico, ad
Emergency. Inoltre, non si può dimenticare che sono nostri anche i
soldi per fare partecipare i nostri alpini a Enduring Freedom, che
potrebbe trasformarsi in una operazione di caccia all’uomo. Anche i
soldi per le operazioni belliche che uccidono esseri umani sono danaro
dei contribuenti: questo li rende forse puliti?

Emergency è stata praticamente l’unica organizzazione sanitaria
presente in Afghanistan durante la guerra, e questo ha indubbiamente
favorito la sua visibilità. Non credi che il grande consenso che è
cresciuto e sta crescendo intorno alla vostra sigla sia anche
determinato dalle posizioni di denuncia contro la guerra che avete preso
e che quindi lo si possa considerare un consenso «politico»?

E’ probabile, se si restituisce alla parola «politica» il suo
significato originario di ricerca di principi e regole del nostro stare
insieme collettivo. E non mi sorprende: la grande maggioranza degli
italiani è contraria alla guerra. Questo non vuol dire che Emergency
sia una organizzazione schierata con qualche partito o coalizione.
Abbiamo sempre denunciato la guerra come una barbarie, sia quando è
stata voluta da governi di centro-sinistra sia quando a proporla sono
stati governi di centro-destra.

Non ha forse un valore politico la campagna «Fuori l’Italia dalla
guerra» che avete lanciato con un appello via Internet sul quale avete
già raccolto 300mila firme? Se sì, quale?

In Italia, anche se molti sembrano averlo scordato, esiste una
Costituzione, è stata scritta con l’idea di garantire un mondo più
giusto alle generazioni future. L’articolo 11 inizia con «L’Italia
ripudia la guerra». È tra i «principi fondamentali». Che cosa vuol
dire? Semplicemente che la pace è un bene che ci appartiene in quanto
comunità, è un valore di tutti e di ciascuno di noi. E questo va
rispettato. Quando siamo andati a votare, nessuna coalizione o partito
hanno detto di essere pronti a toglierci il bene della pace: comunque
ciascuno di noi abbia votato, questo non era in gioco. E invece, in poco
più di un decennio, il nostro paese è stato portato in guerra per ben
tre volte, da governi di colore politico diverso. Noi vogliamo che sulla
questione fondamentale della guerra siano consultati i cittadini, perché
non siamo pronti a farci togliere da nessuno il bene della pace. Non si
tratta solo, anche se la cosa è estremamente importante, di non
renderci corresponsabili di nuovi lutti e di nuovi crimini. Bisogna
anche capire che o si riesce a tenere l’Italia fuori dalla guerra, o non
si riuscirà a tenere la guerra fuori dall’Italia. E i cittadini
italiani questo non lo vogliono, ne siamo assolutamente certi. Per
questo è nata la campagna «Fuori l’Italia dalla guerra», promossa,
oltre che da Emergency, da Libera, da Rete Lilliput e dalla Tavola della
Pace. Come vedi, un grande schieramento di realtà con culture diverse:
vi sono laici e cattolici, senza connotazioni "di partito".
L’appello su Internet é stato firmato da molti che non avevano mai
firmato alcun appello prima di questo. Perché? Per l’importanza della
posta in gioco. C’è chi ha detto che «la guerra é una cosa troppo
seria per lasciarla in mano ai militari». Crediamo che la pace sia una
cosa troppo importante per lasciarla in mano ai politici. Bisogna
sentire l’opinione dei cittadini, e rispettarla.

Nella conferenza stampa al Campidoglio che annunciava questa
campagna insieme a te ed ad altri esponenti del mondo umanitario, del
volontariato e della cultura, da padre Zanotelli a don Ciotti, a Terzani,
c’era anche Sergio Cofferati che scelse proprio quella sede per la sua
prima apparizione pubblica dopo avere lasciato la segreteria della Cgil.
Molti hanno voluto vedere, nella presenza di chi viene considerato come
un prossimo possibile leader della sinistra, una conferma del delinearsi
di una nuova organizzazione politica. Che rapporto c’è tra Cofferati ed
Emergency?

La carta stampata, di questi tempi, non mi sembra lo specchio della
verità. Hanno scritto che io avrei proposto a Cofferati la
vicepresidenza di Emergency – un modo di procedere tipico di una certa
politica che non ci appartiene per nulla . Poi hanno dato lo «scoop»
del rifiuto da parte di Cofferati, precisando però che siamo rimasti
amici. C’ è a chi piace lavorare di fantasia, a meno che non abbia
altre finalità. Pazienza. Emergency non é un partito, né una setta:
Sergio condivide questa battaglia per la pace e la porta avanti insieme
con noi e con tanti altri. Mi fa molto piacere, perché gli sono amico e
lo stimo molto, per la sua attenzione all’etica e ai diritti.

Molti giornalisti, dalla Mafai a Pirani, da Sofri a Sartori, fino
ad Ostellino si impegnano a fondo ad argomentare la tesi che il
pacifismo è rispettabile (a volte) sul piano morale, ma che non ha
nessun valore sul piano politico. Anzi, sostengono, può addirittura
essere complice del terrorismo. Non esitano ad accusarti di strabordare
dal tuo ruolo di chirurgo di una organizzazione umanitaria. Stai
strabordando?

C’è chi ritiene l’etica separabile dalla politica, e non mi sorprende
visto che é proprio quello che sta succedendo, e in misura sempre
crescente. Ci sono migliaia di bambini iracheni ammalati di tumori e
leucemie, molti di più di quanti sarebbe prevedibile in base a
considerazioni epidemiologiche, perché il loro territorio é stato
bombardato a lungo con armi inquinanti. E’ un fatto, una tragedia
facilmente verificabile, non una speculazione ideologica. Basterebbe,
anche in questo caso come per l’Afganistan, prendere un aereo e andare a
visitare qualche ospedale di Baghdad o di Bassora. Che cosa diciamo a
quei bambini, e ai loro genitori? Che non è per ragioni etiche che
neghiamo loro la possibilità di essere curati? Dovremmo spiegare loro –
secondo molti "opinionisti" e politici – che se i farmaci non
gli possono arrivare è per ragioni politiche, cioè per l’embargo
imposto da più di un decennio. Tutto a posto? E se fossero i figli
degli opinionisti a morire perché qualcuno non consente l’arrivo delle
medicine, che articoli di fuoco scriverebbero sui loro giornali? E se
qualcuno, sulla porta di casa di qualche politico, impedisse di far
entrare morfina per lenire il dolore delle loro madri morenti di cancro?
Non ho dubbi, accuserebbero immediatamente quel ‘qualcuno’ di essere un
criminale e un terrorista. I risultati della politica separata
dall’etica sono questi, sotto i nostri occhi, se vogliamo tenerli
aperti: un mare di ingiustizie e di atrocità che attraversano il
pianeta, al solo fine di far guadagnare miliardi (di dollari e di euro)
a qualche migliaio di persone. Il pacifismo complice del terrorismo?
Smettiamola con queste stupide provocazioni. Il terrorismo – l’uso
sistematico della violenza su popolazioni inermi – non é altro che la
forma moderna della guerra, delle guerre degli ultimi decenni, ed é
stato praticato su larga scala. Non solo a New York. E non solo da
individui o gruppi armati. E’ stato ed é praticato anche, anzi
principalmente, da stati. Chi ne é stato complice? i missionari
comboniani o le multinazionali del petrolio? le industrie belliche o i
frati francescani? Nei decenni scorsi, non sono stati i movimenti per la
pace a far andare al potere le decine di dittatori che hanno massacrato
popolazioni in Africa e in Asia e in America latina. E Hitler? E’
tornato di moda citarlo: chi l’ha aiutato a salire al potere? Pacifisti
non meglio identificati oppure gli Junker feudali, i magnati dei grandi
trust industriali tedeschi e la casta militare del Kaiser? Ci si
riferisce alla capitolazione anglo-francese a Monaco che acconsentì
alla invasione della Cecoslovacchia? Si vuol far passare don Ciotti per
Daladier, e padre Zanotelli per Chamberlain. Quanto siano strumentali
queste accuse, lo si capisce ponendoci una semplice domanda: quali sono
le analogie con la situazione attuale? Si critica chi vuole che l’Italia
non partecipi ad una aggressione contro l’Iraq, rievocando la guerra al
nazifascismo. E chi sarebbe, oggi, l’uomo forte che vuole conquistare il
mondo? Già, proviamo a chiederlo ai cittadini del mondo: "Chi
pensate si consideri al di sopra della legge? Chi secondo voi teorizza
il diritto a bombardare chiunque altro per proteggere i propri interessi
nazionali?" Un bel sondaggio nel pianeta, i risultati sarebbero
davvero interessanti…

Politici assertori della necessità di «guerre umanitarie» come
quella in Kosovo (D’Alema) o pronti a combattere quella in Iraq se l’Onu
da il proprio consenso (Fassino) ribadiscono l’importanza di distinguere
tra ragioni morali e politiche, optando – ovviamente «con sofferenza»
– per le seconde. Ti considerano un moralistica utopico ma poi ti
trattano da avversario politico, arrivando a coniare definizioni
dispregiative come «pacifismo alla Gino Strada» (ancora Fassino). Non
ti sembra una contraddizione? Come te la spieghi?

Non so se ci sia contraddizione, e mi interessa poco. "Si decise –
scrive D’Alema nel suo libro Kosovo – di continuare con l’azione aerea
integrata dall’intervento umanitario" Il problema è in buona parte
qui. C’è chi pensa che i bombardamenti possano andare a braccetto con
gli aiuti umanitari, che addirittura possano integrarsi. Per Emergency,
organizzazione laica, questa è una bestemmia. Non vogliamo aver nulla a
che fare con chi bombarda, né siamo disposti a lavare loro la coscienza
partecipando ai loro "interventi umanitari". Per quanto
riguarda l’Onu, vorrei solo dire che le Nazioni unite nascono con
l’obiettivo primario di mantenere la pace mondiale. Più di trenta
conflitti insanguinano oggi il pianeta. Macellai e dittatori, e
dittatori trasformatisi in presidenti, e presidenti macellai massacrano
con i loro eserciti milioni di esseri umani ogni anno. Almeno tre quarti
delle loro armi provengono dai cinque paesi membri permanenti del
consiglio di sicurezza dell’Onu, Stati Uniti, Cina, Russia, Francia e
Gran Bretagna. Sono davvero neutrali, super partes, credibili nel
promuovere la pace?

Il percorso della pace deve essere intrapreso anche con le gambe
della politica? Di quale politica?

La pace si può costruire, la si può praticare. Per esempio promuovendo
la giustizia. E’ giusto un mondo dove il 20 percento degli uomini
possiede e consuma l’83 percento delle risorse di tutti? Incominciamo a
leggere (per molti politici sarebbe la prima volta) la Dichiarazione
universale dei diritti umani del 1948. Diritti, principi, valori
sottoscritti e poi gettati nell’immondizia. Chiediamoci come praticarli,
come tradurli in "politica". Finché non sarà vero che
"Tutti gli uomini nascono liberi e eguali in dignità e
diritti..", finché individui e comunità non agiranno "gli
uni verso gli altri in spirito di fratellanza", come proclama il
primo articolo della Dichiarazione, continueremo a vivere in un mondo
pieno di guerre, e ci sarà spazio per chi, con l’arroganza tipica del
più ricco e del più forte, e servendosi della "libera"
informazione, continuerà a chiamare pace le bombe, a chiamare giustizia
Guantanamo, a chiamare "vittime del fuoco amico" o semplici
effetti collaterali i bambini afgani bombardati durante un matrimonio. A
proposito, secondo uno studio sulla libertà di stampa nei vari Paesi
condotto da Reporters Without Borders e ripreso dall’Economist, l’Italia
figura al quarantesimo posto, appena sopra il Mali. Sono utopie i
diritti dell’uomo esposti nella Dichiarazione universale? Assolutamente
no, se ci si impegna a trasformarli in progetti, e nel nostro Paese sono
in molti a volerlo fare.

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