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FORSE SANNO CHE NON C’È FUTURO di Maurizio Blondet

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Varie ipotesi si possono fare: che a comandare in America in realtà sia Rumsfeld, che Bush sia solo un figurante del colpo di Stato perfetto messo a segno l'11 settembre, e che dunque, se mai, sarà Rumsfeld a licenziare Bush, non il contrario.
E tuttavia l'incredibile impudenza della risposta resta inspiegabile.
O con una sola spiegazione possibile; una sola e terribile.
L'attuale amministrazione spende centinaia di miliardi al giorno in due occupazioni e progetta una terza guerra forse con armi atomiche contro l'Iran, mentre l'economia americana crolla invasa da merci estere e i salari dei lavoratori calano in termini reali; Bush annuncia un ulteriore taglio delle imposte ai ricchi, mentre i poveri s'impoveriscono; il repubblicano liberista, il privatizzatore ideologico, accresce paurosamente le spese di Stato.

E l'intera economia USA, de-industrializzata, vive di trucchi finanziari e denaro preso a prestito dai cinesi: il debito e il deficit, pubblico e commerciale e privato, hanno raggiunto enormità mai prima toccate nella storia.
L'intero presunto boom americano si regge sui superconsumi delle famiglie, super-indebitate. Presto o tardi, i colossali nodi verranno al pettine.
Le bolle finanziarie scoppieranno, i dollari diverranno carta straccia, la recessione piomberà inevitabile.
E il governo USA non fa nulla per prepararsi al collasso, per attenuare il colpo quando verrà: ciò appare assurdo, irrazionale, insensato.
Il gruppo di potere che ha occupato la Casa Bianca agisce «come se non ci fosse un domani».
Ecco: e se fosse questa la spiegazione?
Se «loro» sanno effettivamente che non c'è futuro, allora tutte le loro azioni diventano razionali.
Le spese folli, il super-indebitamento, la stampa frenetica di dollari con cui pagare le merci cinesi fino al giorno in cui i cinesi si accorgeranno che quei dollari non comprano più nulla: tutte queste politiche dissennate diventano persino astute, «se non c'è domani».

Se un debitore sa per certo che domani morirà, continuerà a indebitarsi e a spendere come un pazzo, ben sapendo che non avrà da pagare i debiti.
E che il creditore resterà a mani vuote davanti alla sua tomba.
L'invasione dell'Iraq è un fallimento, almeno in base a tutti i pretesti per attaccare della Casa Bianca.
Non si sono trovate le armi di distruzione di massa di Saddam.
La guerra non ha ridotto la minaccia del «terrorismo globale».
Né all'Iraq è stata data la democrazia; solo caos, a cui l'America non prova nemmeno di porre rimedio.
Ma se loro sanno che la civiltà come la conosciamo è agli sgoccioli, l'invasione assume un senso.
In ogni caso, gli USA occupano oggi una terra che ha le seconde o terze riserve mondiali di petrolio: ragione sufficiente, se è imminente un collasso planetario.
Quel greggio potrà essere preziosissimo, anche se non nel futuro imminente, anche se non per gli Stati Uniti.

E così le spese folli a credito.
Se la civiltà tecnico-industriale sta per finire, allora non è stupido, anzi è strategicamente geniale indebitarsi per accaparrarsi, col denaro a prestito, le risorse vitali, greggio e materie prime, e l'armamento più formidabile per difendere i beni saccheggiati.
Anche l'uomo della strada è più o meno informato da segnali della fine: la produzione petrolifera ha raggiunto il picco, ed ora scende.
Il clima sta cambiando con drammatica rapidità.
La civiltà dei consumi di massa, fondata sui consumi superflui resi possibili – anzitutto – da un flusso enorme di energia a basso costo, pare già arrivata ai suoi limiti logici e materiali. Ormai devasta risorse, inquina, impoverisce le masse invece di farle illudere di «star meglio», e le masse se ne accorgono.
Ma l'uomo della strada non ha che voci, sentito-dire, vaghe notizie.
Il governo degli Stati Uniti ha a dsposizione migliaia di specialisti, analisti e istituti di ricerca dediti da sempre a tracciare «scenari» del futuro su cui basare l'azione del governo.

E' possibile, anzi probabile, che i loro rapporti al potere siano univoci: la civiltà dell'auto, della «democrazia di massa» e dell'abbondanza tecnologica è insostenibile.
Ha i giorni contati.
Si avvicina il ritorno a un modo di vita che l'umanità ha dimenticato, ma che per millenni ha sofferto: il mondo della penuria, delle carestie, del «lavoro» strappato a forza di muscoli umani e animali, delle malattie endemiche.
La civiltà tecnologica sostiene sei miliardi di uomini; la civiltà del futuro tornato arcaico consentirà la vita a poche centinaia di milioni.
E solo ai meglio preparati, per forza, violenza e arroganza, a sopravvivere.
La democrazia, con le sue finzioni, è finita: torna la società gerarchica, dove gli armati comandano sugli inermi.
Nella cultura americana è diffusa l'idea del «survival».
Pullulano «survivalisti» che si preparano a sopravvivere alla catastrofe, ieri l'invasione dei comunisti sovietici, oggi l'Armageddon, la strage atomica o il Grande Crack.

I survivalisti accumulano nella cantina, adattata a rifugio corazzato, fucili mitragliatori e pacchi di munizioni, carne in scatola, pile elettriche.
L'ideologia segreta dell'attuale regime USA è forse il survivalismo, e la Casa Bianca è piena di perfetti survivalisti.
Che sanno che non c'è domani.
Prima precauzione, tacere il futuro al proprio popolo.
Per non provocare panico, rivolte e violenza che potrebbero dirigersi contro il regime oligarchico survivalista.
Perciò il governo mantiene l'apparenza della normalità anzi la finzione del benessere per la popolazione, mentre si prepara in silenzio a sopravvivere – esso e i suoi fidi – nel futuro della penuria.
La Halliburton ha ricevuto un contratto per costruire in USA tutto un arcipelago di campi di concentramento per una imprecisata «emergenza»: per chi, se non per i cittadini americani?
Per quelli che si accorgeranno tardi di aver perduto tutto e protesteranno, scenderanno in piazza, compiranno violenze e saccheggi?

L'esercito ha avuto disposizioni, di cui si parla poco, per agire come polizia: ciò contrasta con la tradizione giuridica americana che vuole l'esercito impiegato solo contro il nemico esterno. Ma è perfettamente comprensibile, se il governo sa che «non c'è domani».
A Bush è sfuggita, mesi fa, una frase rivelatrice: la Costituzione «è un dannato pezzo di carta». Difatti: non sarà più di alcuna utilità nel futuro che si prepara.
Saranno utili solo le materie prime e la mera forza; chi ne disporrà potrà «comandare» lavoro, lealtà e obbedienza.
Il futuro sarà apertamente autoritario.
Nel nuovo domani, che cosa servirà di più?
Beni primari, materie prime: petrolio, cibo, acqua, e armi.
Non servirà denaro, il denaro è in fondo alla scala delle necessità imminenti.
Il governo USA sta disseminando basi militari nelle zone del mondo ricche di materie prime.
In questa operazione, spende cifre folli.
Spende «troppo?».
E' denaro preso a prestito, che gli USA non restituiranno mai.

La sola preoccupazione del regime è di mascherare ancora per qualche tempo la sua insolvenza, ritardare un collasso prematuro del suo dollaro carta straccia.
Finzioni, trucchi, false statistiche, ottimismi falsi trasmessi per via mediatica sui trionfi del capitalismo globale, iniezioni di liquidità a Wall Street (che sa e tace, terrorizzata che la giostra finisca e finiscano i bonus degli speculatori) tengono in piedi il teatro.
L'ultima geniale distrazione l'hanno data con l'11 settembre: qui hanno indicato al popolo il nemico esterno (per distrarlo dal nemico interno, il regime) e, nello stesso tempo, hanno ingiustificato le loro altrimenti ingiustificabili guerre, saccheggi, debiti folli.
Si tratta di battere «il terrorismo globale» che ci minaccia tutti.
Un avversario inafferrabile, il «terrorismo globale», come il suo capo Osama bin Laden è inafferrabile in quanto mediatico, non avendo altra esistenza che nei video opportunamente disseminati.
Perfetto: un nemico indefinito richiede guerre infinite e indefinite, dà il tempo necessario al saccheggio del pianeta e delle sue materie prime.

Distrazione bellissima anche lo «scontro di civiltà».
Qualcuno ricorda ancora che, solo cinque anni fa, si veniva bollati di razzisti se si eccepiva contro l'immigrazione eccessiva?
Che era positivamente vietato – per legge – vilipendere o criticare la religione islamica?
Che ci veniva predicata la bellezza progressista della «società multiculturale» a cui dovevamo non solo rassegnarci, ma allegramente, positivamente aderire?
Ma la società multiculturale andava bene quando l'Occidente era (o si credeva) ricco, abbondante di beni e di lavoro.
Ora è il contrordine, sancito dalla Casa Bianca e predicato da tutti i media, i muezzin della società capitalista terminale: «l'Islam ci attacca», «l'Islam perseguita i cristiani», «l'Islam è arretrato», «l'Islam è diverso e non ha democrazia», «mette il chador alle donne».
Inutile far notare che solo nel Napoletano, la camorra uccide regolarmente più «cristiani» (un centinaio di ammazzati l'anno) di ogni terrorismo musulmano.
Che l'Islam che ci attacca è forse anche un po' sotto attacco, visto che due paesi musulmani sono sotto occupazione e un terzo, l'Iran, è minacciato di bombe a tappeto.

Scopriamo ora che una cultura più che millenaria è «diversa»: e di colpo, la sua diversità ci è intollerabile, vogliamo cambiarla, insegnarle la «democrazia».
E a forza di esportare democrazia, non ce ne resta più per il consumo interno.
Basti un esempio di questa impudenza, il più recente.
Sull'Herald Tribune, un articolo spiega che con Hamas al governo, partito islamico radicale, che imporrà restrizioni sociali, per i palestinesi sono «gli ultimi giorni in cui potranno andare in discoteca» (1).
In questi stessi giorni, Israele chiude i varchi di Gaza e lascia passare il cibo a singhiozzo; gli assediati palestinesi, colpevoli di aver votato Hamas, cominciano a mancare del pane.
Non è la discoteca il loro bisogno più assillante.
Ma dell'affamamento si tace sui media; i media protestano perché Hamas «vieterà le discoteche».

E noi, sensibili alla discoteca (i nostri ragazzi ne hanno tanto bisogno), ignari che ci toglieranno discoteche e tutto il resto, ci crediamo.
Noi, popolino occidentale senza futuro, tutti a gridare: sì, l'Islam ci attacca!
Un'altra guerra?
Bene!
Facciamogli vedere!
Così, Bush sa di «poter» essere impudente. Rumsfeld?
«Ha vinto due guerre».
Il pubblico ingollerà anche questa ridicola menzogna.
E la storia non registrerà l'idiozia arrogante dell'ultimo presidente del capitalismo «democratico» e «globale»: perché nessuno scriverà più la storia.
Non ci sarà un domani.

Note
1) Matthew Longo, «For the palestinians, disco's last days?», International Herald Tribune, 22 marzo 2006.

(Tratto da www.effedieffe.com)

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