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Flussi migratori: vittime e mandanti

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Due avvenimenti riportano prepotentemente alla ribalta l’emergenza degli sbarchi di immigrati clandestini sulle nostre coste: la recente visita del Pontefice a Lampedusa e i precedenti disordini scoppiati fra immigrati e abitanti dell’isola. Sebbene pochi si siano soffermati su questo aspetto, si deve sottolineare come le parole di solidarietà, fratellanza indirizzate dal Papa agli immigrati e le sue manifestazioni di gratitudine e lode verso gli abitanti dell’isola per l’accoglienza ai più sfortunati, non possano che scontrarsi con una realtà che nella piccola Lampedusa mostra ormai i suoi effetti più drammatici. Perché, come era inevitabile che accadesse, si sta assistendo ad una contrapposizione fra “disperati”. Da una parte la disperazione di chi lascia la propria terra (uomini, donne e bambini) nella speranza di un futuro migliore e di una vita più dignitosa e si ritrova a sostare per un periodo indeterminato in centri di prima accoglienza assolutamente inadeguati per capacità di contenimento che, di conseguenza, finiscono per assumere le caratteristiche di “lager” in cui gli occupanti versano in condizioni igieniche e di vita inaccettabili. Dall’altra la disperazione di una piccola isola che ha sempre vissuto di turismo che si trova a fare i conti con un’emergenza umanitaria che la sovrasta e rispetto alla quale gli abitanti si sentono abbandonati a se stessi.

Perché se le parole “solidarietà” e “accoglienza” hanno un proprio, nobile significato quando si parla di scelte circoscritte, di situazioni contingenti, di numeri contenuti, di fronte allo spostamento – ormai in atto da tempo – di grandi masse di individui, da una parte all’altra del mondo, questi concetti divengono inadeguati. Opportuno appare, pertanto, il richiamo ad un comune senso di responsabilità, che non investa unicamente le località o i Paesi di immediata destinazione degli immigrati e opportuna appare anche la menzione del concetto di “globalizzazione dell’indifferenza”: non si può, infatti, affrontare concretamente il problema dei flussi migratori senza comprenderne a fondo la vera natura e le cause che lo generano.

Qualunque ipotesi di intervento sul dramma degli sbarchi massivi di immigrati sulle coste del Mediterraneo non può prescindere dalla constatazione che i flussi migratori sono l’effetto diretto dell’attuale modello di crescita e sviluppo capitalistico e ad esso sono strettamente funzionali. In passato, dalla campagna alla città, poi dal meridione al settentrione; oggi, dal sud del mondo verso i paesi industrializzati ormai in declino. Qualcuno ha voluto vedere in questo fenomeno una sorta di contrappasso dell’esperienza colonialista europea nei Paesi di provenienza dei flussi migratori, ma questa lettura induce ad un errore di fondo (ammesso che di errore si tratti..) sostanziale e pericoloso: l’idea che tale esperienza colonialista possa considerarsi archiviata. Non è così, a nostro avviso: i flussi migratori massicci garantiscono ad un sistema condannato alla continua espansione manodopera a bassissimo costo e nuovi consumatori, in concomitanza con l’avanzare della globalizzazione e la sua necessità di operare su mercati globali. Questo disegno è perseguito dalle èlite politico-finanziarie, facenti capo alla grande finanza mondiale, che attualmente si identifica con le potenze di Usa, Israele e i loro alleati/satelliti – occidentali e non – tra cui anche l’attuale Unione Europea. La strategia per la creazione di un unico mercato globale, dove poter imporre un monopolio politico, finanziario, economico e culturale, mira ad ottenere dapprima il controllo economico e politico sulle nazioni e poi abbatterle definitivamente, eliminando ogni ostacolo alla sua realizzazione. E qui entra in gioco il concetto di “neo-colonialismo”: il mezzo utilizzato per la realizzazione del suddetto fine è quello delle leve finanziarie e militari: la generazione artificiosa e il possesso del debito, da una parte; l’azione militare diretta e – in alternativa – la creazione del caos permanente mediante il finanziamento e l’innesco di guerre civili e secessioni, dall’altra, in specie nel caso in cui il Paese oggetto di “attenzioni” non si presti facilmente e volontariamente al primo mezzo di coercizione. Al controllo “de facto”, segue l’inevitabile depredazione delle risorse naturali e delle capacità produttive, ivi compresa la forza lavoro, sfruttata sia impiantando in loco le produzioni a basso costo (delocalizzazione), sia incentivando esportazione di manodopera verso i Paesi ad economia “avanzata”.

È questa politica predatoria che, non consentendo alle popolazioni del sud del mondo di poter vivere delle proprie economie, esercita quella fortissima pressione – anche propagandistica – volta a spingere enormi masse di individui a cercar miglior fortuna altrove, affidandosi quasi sempre a efferati contrabbandieri di carne umana, pronti a disfarsi del loro carico, una volta ricevuto il pagamento e qualora lo stesso possa risultare per loro compromettente.
Gli effetti per le società coinvolte, sia quelle di destinazione che di partenza dei flussi, sono devastanti. Oltre a generare impoverimento e dipendenza economica nelle zone d’emigrazione, producono squilibri ed effetti analoghi nelle società di approdo: destrutturazione delle società autoctone, ribaltamento di modi di vita e produzione, annientamento delle diversità culturali e dei modelli politici nazionali da essa espressi.
Infatti, nei luoghi di destinazione dell’immigrazione, l’effetto che si viene a produrre è duplice:
 

  • Dal punto di vista sociale, l’inevitabile appiattimento delle culture e delle tradizioni, in favore di un nuovo “meticciato” mono-culturale improntato su un unico modello consumistico (leggersi il piano Kalergi illumina..);

 

  • Dal punto di vista economico, si alimenta il cosiddetto “dumping sociale”.
    Quest’ultimo fenomeno viene ben sintetizzato nelle parole di M. Pallante, che lo definisce come quella pratica che “ consente di instaurare una concorrenza al ribasso delle paghe, mettendo appunto in competizione la classe debole e ricattabile composta sia da immigrati che da autoctoni, avviando una guerra tra poveri con un ulteriore aggravamento dell’impoverimento generale, piuttosto che di un aumento di benessere in favore dei nuovi arrivati”.

In definitiva, il fenomeno migratorio è da considerarsi parte integrante di una complessa strategia finalizzata a generare la completa dipendenza dei popoli dai possessori delle materie prime e della produzione, sempre più concentrati in pochi oligopolisti mondiali.

Proprio l’opposizione alla nefasta e criminale globalizzazione – nonché alle cosiddette “politiche dell’accoglienza ed integrazione”, veri e propri palliativi ad essa funzionali – può e deve essere il fattore decisivo nel contenimento dei fenomeni migratori che hanno raggiunto ormai proporzioni inquietanti.
Se possono essere fatte salve le parole di fratellanza per i nuovi arrivati e di pietas per le innocenti vittime di questo ignobile traffico di esseri umani, pronunciate nella sua veste di capo religioso da Bergoglio, non può non ritenersi pericoloso, oltreché pretestuoso, l’indirizzo in materia di immigrazione, dell’attuale governo italiano, l’ennesimo istituito per conto terzi.

Le attuali condizioni economiche del Paese, infatti, non possono assolutamente garantire la possibilità alla nostra provata e compromessa situazione economica la capacità di farsi carico dell’accoglienza entro i propri confini di massicci flussi migratori di persone a cui assicurare condizioni di vita dignitose e non la certezza di un’esistenza ai margini della società, ovvero della legalità. Per identiche ragioni appare chiaramente impraticabile e insostenibile su larga scala la via dello ius soli, ovvero il riconoscimento automatico della cittadinanza italiana ai nuovi nati nel territorio nazionale, sebbene da genitori stranieri. Diritto, giova ricordarlo, riconosciuto perlopiù unicamente in quei Paesi (America del Nord e del Sud, Australia) che sono stati popolati a seguito della massiccia immigrazione, voluta e invogliata, ma sempre gestita e controllata. Nazioni giovani, ricche di opportunità e risorse, che necessitavano di manodopera, cervelli, capitali e lavoratori per lo sviluppo economico. Paesi che non hanno esitato a sterminare le popolazioni autoctone (Indiani D’America, Maori, etc) per soppiantarle con masse allogene in cerca di fortuna e più funzionali al progetto di fondo.

In ogni caso, la nostra situazione è ben diversa, se non opposta. Quali garanzie potrebbe assicurare ai nuovi venuti o ai nuovi nati stranieri un Paese come l’Italia in cui gli stessi indigeni – falcidiati dalla crisi indotta e dalle politiche economiche e monetarie scellerate – si vedono costretti a sopravvivere a malapena, assistendo – tra fallimenti e suicidi – all’erodersi di tutte le minime conquiste sociali faticosamente raggiunte nel corso di decenni?
Come mai, le stesse forze che hanno creato ciò, ci inducono, con violenza verbale e giudiziaria, ad accettare politiche immigratorie illogiche e suicide?

I nostri Ministri Kyenge e Boldrini, votate alla causa mondialista ben più che a quella italiana, non passa giorno che non ci ricordino che “l’immigrazione è una necessaria risorsa” e che “siamo un paese di vecchi (razzisti), da ringiovanire”. Guai a dire o pensare il contrario. È vero che siamo un paese destinato ad invecchiare, come è vero che l’incertezza economica e la mancanza di tutele adeguate alla maternità e alla famiglia ne sono la causa principale. L’azione culturale disgregatrice dell’unità familiare, il disprezzo per la donna madre e casalinga, espresso dalla Presidente Boldrini ne è un chiaro esempio.
In Italia, a maggio 2013, il tasso di disoccupazione è stato pari al 12,2%, + 0,2% rispetto ad aprile 2013. Gli inoccupati salgono a 3.140.000 (ISTAT 1 luglio 2013). La disoccupazione giovanile (15-24 anni) a maggio 2013 è stata pari al 38,5%. I “Neet” (Not in Education, Employment or Training), cioè i giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un occupazione, sono arrivati a oltre il 23%. Servono altri giovani stranieri per cosa, se non per aumentare la disoccupazione giovanile, precariato e concorrenza al ribasso?

Il 53% degli italiani non riesce a mantenere la famiglia con il suo reddito ed il 77% dei pensionati percepisce meno di mille euro al mese. Vantiamo “8,2 milioni di poveri , quasi 4 milioni mangiano grazie ai pacchi alimentari”. Potremo snocciolare decine di freddi dati statistici, ma basterebbe stare tra le persone normali per capire la situazione. Il “buonismo” ingannevole, non risolve e non affronta il problema, ma lo aggrava volutamente e scientemente.

In questa situazione, non è lontanamente pensabile il poter garantire una vita dignitosa, lavoro e stato sociale, a masse di indigenti che si riverserebbero in Italia con irrealizzabili aspettative e speranze, si creerebbe unicamente una corsa al ribasso dei salari e delle condizioni di lavoro, una massa povera disposta ad accettare tutto, costringendo alla medesima abnegazione anche gli stessi italiani.
La frustrazione e la delusione (palesi nei ripetuti episodi di violenza e rivolta già verificatisi e richiamati in parte anche in premessa), si trasformerebbero in elementi di costante tensione sociale, con l’inevitabile formazione di sacche di emarginazione, da cui attingerebbe manovalanza la criminalità e il lavoro nero.
Il progressivo depauperamento e forse l’annullamento finale dei servizi, soprattutto socio – assistenziali, sarebbe generalizzato, dall’istruzione alla sanità. Per non parlare della reciproca perdita di identità culturale e del pericolo dell’esasperazione e del fanatismo religioso che in queste situazioni di disagio si diffonde e prospera. Un pericolo molto più concreto di ciò che non si creda, su cui bisogna vigilare, pur evitando qualunque stereotipo razzista, xenofobo e islamofobico .

Quando poi, in questo quadro di desolante disperazione e malessere, si spacciano per soluzioni del problema provvedimenti come: “riservare posti di lavoro agli immigrati” (cit. Kyenge), “favorire gli immigrati nell’assegnazione degli alloggi comunali”(es. Ravenna e Trento) o riservargliene di nuovi (es. Cagliari), giustificarne i reati (es. Kabobo) e assolverne gli autori, fornirgli i diritti senza chiedere mai i doveri…. Siamo di fronte ad una sgradevolissima discriminazione al contrario ( se mai esistesse un “giusto” verso, e così ovviamente non è), tendente in maniera evidente ad alimentare solo l’odio e il razzismo, in una guerra tra poveri destinata a creare fratture e scontri sociali. Siamo davanti ad una vera e propria incitazione all’odio razziale e alla guerra civile.
Non interrogarsi sulle conseguenze di un simile progetto, è un lusso che il popolo italiano non si può proprio permettere. Tornare indietro, sarà impossibile.

Riteniamo, infine, che se è corretto che, chi cerca asilo politico e rifugio nel nostro paese debba essere accolto e messo nelle condizioni di vivere con dignità e rispetto, è anche vero che bisogna denunciare, con forza e senza ipocrisia, il mercato degli schiavi che si nasconde dietro un diritto umanismo di facciata, voluto e fomentato ad arte. I migranti vengono, infatti, recuperati ai margini del mare territoriale libico, portati in Italia, successivamente mantenuti dai contribuenti, e poi lasciati al loro destino. Un vero e proprio business non nascosto della forza lavoro, irregolare ed a basso costo.
Il nostro fermo convincimento è che la sola soluzione possibile al problema globale dei flussi migratori, passi inevitabilmente dalla rimozione delle cause sistemiche che l’hanno prodotta: dentro questo sistema, l’immigrazione è inarrestabile perché è conseguenza dell’esistenza del sistema stesso.

Fonte: testelibere.it/blog/flussi-migratori-vittime-e-mandanti

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