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Elezioni in Iraq: vince lo sciita Al Sistani, la costituzione ad ottobre

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Con le elezioni del 30 gennaio 2005 l’Iraq da stato laico diventa uno stato confessionale sciita come il vicino Iran. Ecco il diretto effetto di una occupazione militare permanente che pretende di imporre la democrazia con la forza.

Le elezioni, indette per eleggere i 275 membri dell’Assemblea nazionale a cui è negata la sovranità nazionale che rimane in mano ai militari
occupanti, si sono svolte in un contesto di militarizzazione della vita
civile, di arresti di religiosi e studenti sunniti accusati di boicottaggio elettorale e di resistenza armata, di una inesistente libera circolazione con la motivazione che se ne sarebbero avvantaggiati i terroristi, e quindi in pieno contesto illegale, come del resto è illegale la stessa occupazione militare, secondo le dichiarazioni pubbliche dello stesso Segretario dell’Onu.

Su 14 milioni di aventi diritto al voto si sono presentati ai seggi
elettorali il 58%, poco più di 8 milioni di elettori. – Ma questa è una
congettura. In realtà non è stato chiarito quanti fossero gli aventi diritto al voto sulla quale è stata calcolata la percentuale dell’affluenza ai seggi. –

Dalla Commissione elettorale è giunta l’informazione che la partecipazione al voto è stata massiccia nella parte nord, quella dei Curdi e nella parte sud, quella degli Sciiti (qualche timida ripresa televisiva si è girata in queste aree in funzione di propaganda); mentre al centro, dove vive la maggior parte dei Sunniti, la partecipazione al voto ha raggiunto a mala pena il 20%. La stessa Commissione elettorale, mentre continuano gli agguati mortali nelle province irachene, ha confermato la maggioranza relativa agli Sciiti che hanno ottenuto il 46,6 %, mentre i Curdi hanno ottenuto il 25,7%, e il partito di Allawi, nei centri Sunniti, ha rastrellato il 13,8 %.
Queste sono le crude informazioni provenienti dall’Iraq ufficiale, quello ancora sotto il tallone militare dell’esercito Usa, e quindi da prendere con beneficio di inventario futuro. Se mai sarà possibile, visto che l’Onu non si ritiene ancora in grado di intervenire. Costose operazioni militari quelle in corso in Afghanistan e soprattutto in Iraq, per le quali il Presidente Bush si prepara a chiedere un ulteriore stanziamento di 81 miliardi di dollari che saranno utilizzati, principalmente, a rendere permanente la presenza militare Usa nei due paesi, anche in funzione di controllo dell’intera, petrolifera, area mediorientale e dell’intera, petrolifera, area caucasica.
Le popolazioni del Kurdistan a nord, che vivono sopra un mare di petrolio -circa la metà dell’intero petrolio iracheno – naturalmente non nascondono la loro volontà separatista, anche se sono divisi in due fazioni l’una contro l’altra armata che per l’occasione elettorale hanno dato vita ad una alleanza denominata “Fratellanza Curda” che ha riunito i due principali partiti autonomisti curdi – quello di Jalal Talabani e quello di Massud Balzani) – e che ha fatto il pieno dei voti, ottenendo 75 seggi nella Nuova Assemblea Nazionale, allarmando la vicina Turchia che ha apertamente messo in dubbio il risultato elettorale iracheno.
La Turchia ha sottolineato la scarsa partecipazione al voto oltre che una serie di manipolazioni del voto che si sarebbero verificate in alcune zone del nord, Kirkuk compresa. Kirkuk attualmente non fa parte del Kurdistan iracheno) ed è la città principale dell’area petrolifera nel nord dell’Irak che i risultati elettorali hanno messo in mano ai curdi, andati in massa a votare.
Il ministero degli esteri turco denuncia il fatto che 100.000 curdi,
sfollati nei decenni trascorsi, siano stati fatti rientrare in Iraq nei mesi precedenti la data delle elezioni, modificando di fatto il rapporto numerico e demografico con le altre componenti arabe e turcomanne nel territorio,componenti minoritarie che pur avendo disertato le elezioni hanno ottenuto 3 seggi. – Ma questo fa parte dell’invito a rientrare e ad iscriversi a votare diretto a 2 milioni di iracheni in esilio. Non sono certo sunniti, ma piuttosto sciiti e curdi. – La Turchia denuncia l’inapplicabilità delle risultanze elettorali nell’intera regione, Kirkuk compresa, a causa degli squilibri derivanti dalla bassa affluenza dei votanti – in alcune aree non si è presentato nessuno a votare – e chiede che l’ONU assuma “un ruolo più efficace in questo processo” di costruzione della democrazia in Iraq.
Naturalmente la Turchia teme i riflessi della spinta all’indipendenza del Kurdistan iracheno. nel Kurdistan turco dove vivono 20 milioni di curdi, il cui leader separatista Abdullah Ocalan è ancora in carcere.
A sud, l’ayatollah Sciita Alì Al-Sistani a capo dell’Alleanza Unificata
Irachena, la maggioranza dei canditati torna in Iraq dopo decenni di esilio nel vicino Iran sciita, conquista 140 seggi nell’Assemblea Nazionale irachena ottenendo la maggioranza assoluta. E’ una novità millenaria che gli sciiti giungano al potere in un paese arabo e che vi possano instaurare la Sharia (i barbieri assassinati perché tagliano i capelli alla moda, le donne obbligate al velo, la proibizione alla vendita degli alcolici, il figlio maschio ha diritto ad una eredità doppia della femmina anche questo è la Sharia). Una novità che il leader sciita, Abdel Mahdi, che potrebbe essere il prossimo primo ministro iracheno, traduce in disponibilità a lavorare con i sunniti che si ritrovano minoranza anche a causa dell’auto-esclusione da queste elezioni considerate un appoggio inaccettabile agli invasori americani e ai loro alleati. .Altre formazioni minori hanno rastrellato 12 seggi, fra cui un rappresentante dei cristiani.
Al centro solo i Sunniti del presidente provvisorio iracheno, Ghazi al
Yawar, hanno ottenuto 5 seggi, mentre gli sciiti, cosiddetti “laici”, del primo ministro provvisorio, Yad Allawi, hanno ottenuto 40 seggi che
assommati agli altri 140 rappresentanti sciiti si attestano al 70% dei
componenti dell’assemblea nazionale.

Strane liste, quelle di queste elezioni festeggiate da molti come una
vittoria, nelle quali i candidati dei partiti erano secretati per garantirli dalla reazione violenta della guerriglia che si è scatenata in Irak, dopo l’invasione militare. Sulle testate principali occidentali si è vista la stessa soddisfazione per la “massiccia affluenza ai seggi elettorali della popolazione nonostante le minacce terroristiche” nelle elezioni che si svolsero nel Vietnam occupato dall’esercito USA nel lontano settembre del 1967. Del resto il Partito islamico iracheno, che rappresenta l’Islam sunnita, mette in dubbio la legittimità delle stesse votazioni a causa di una astensione “seriamente motivata” del 42% degli aventi diritto al voto.
Né questa argomentazione, unita sia alla mancanza di condizioni di sicurezza in vaste aree del Paese sia alle condizioni “forzose” dello stesso svolgimento delle elezioni, può essere sottaciuta da qualunque osservatore imparziale. Osservatori internazionali ed imparziali che sono mancati perché erano mancanti le garanzie di incolumità personale. Né l’Onu, né l’Osce, né la stessa Unione Europea hanno potuto inviare osservatori, salvo qualche singolo coraggioso, e, si sa, quando la sicurezza non è garantita gli elenchi degli eroici osservatori si assottigliano a vista d’occhio. Ma quei pochi coraggiosi qualcosa hanno visto e hanno raccontato.
Esponenti del partito di Allawi (primo ministro protempore insediato
dall’esercito occupante) hanno pagato gruppi di giovani, di donne, di
bambini e adulti disoccupati il cui compito era quello di stazionare di
fronte ai seggi elettorali per essere ripresi dalle telecamere straniere.
Non sono stati meno pronti gli esponenti del partito di Jalal Talibani che facevano regali elettronici a quelli che andavano a votare.
Sono stati rilevati almeno 4 casi di frode da parte di un coraggioso
osservatore dell’Onu: cittadini non iracheni muniti di falsi certificati di cittadinanza erano ammessi a votare.
E che ne dite della brillantissima idea di collegare il voto al diritto di ricevere il sostegno alimentare per la famiglia. Se gli osservatori
dell’Osce avessero rilevato questa “offerta di scambio” nelle recenti
elezioni in Ucraina avrebbero riempito le pagine dei quotidiani europei. Ma l’Iraq non è l’Ucraina.
Mentre vediamo distendersi nel territorio iracheno l’ombra nefasta degli
effetti della politica delle guerre preventive, come non cogliere
l’involontaria e amara ironia della frase pronunciata dal presidente Bush circa il risultato elettorale iracheno e il fine della presenza militare Usa in Iraq: :”Mettere in grado l’Iraq di provvedere da solo alla propria sicurezza” ha detto.
Imporre fatti compiuti sui quali tutti gli altri saranno costretti a
costruire le loro realtà non rende prevedibile il futuro ma falsifica gli eventi e costruisce un futuro imprevedibile. Sono crollati tutti gli imperi del passato che hanno basato la loro politica imperiale sulla forzatura degli eventi. Cosa fa credere ai moderni neocon (i neo conservatori americani) che l’impero che stanno costruendo non mostrerà, improvvisamente,i suoi piedi di argilla. Oppure lo sanno benissimo, ed è il vero motivo per cui cercano di imporre il massimo dei fatti compiuti, guerra alla Cina compresa, durante il secondo e ultimo mandato di Bush. Dobbiamo aspettarci, ancora per i prossimi quattro anni, che la Pandora americana continuerà a tirare fuori dal suo capiente vaso doni, che si riveleranno velenosi, per la democrazia mondiale.

I compiti dell’Assemblea Nazionale.

L’Assemblea Nazionale ha il compito di predisporre il testo della
costituzione da sottoporre a referendum popolare entro il 15 ottobre
prossimo. Se la carta costituzionale otterrà il voto della maggioranza degli iracheni, entro la metà di dicembre si svolgeranno le elezioni del nuovo parlamento, se invece la carta costituente sarà bocciata dal voto popolare dovrà essere eletta una nuova Assemblea nazionale. Nel frattempo la stessa Assemblea, che si insedierà il 20 febbraio prossimo, con una maggioranza di almeno due terzi (184 voti) eleggerà il Consiglio presidenziale (il presidente e due vice) che a sua volta, entro due settimane, designerà un premier incaricato che avrò quattro settimane di tempo per formare un nuovo governo che avrà pienezza di poteri se otterrà la maggioranza semplice dell’assemblea (almeno 138 voti). E in questo caso sono sufficienti i 140 voti degli sciiti religiosi.

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