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E il vincitore dell’Oscar è…la Cia

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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Persino nel suo periodo da selvaggio, fattone, folle easy rider, Jack Nicholson non avrebbe mai immaginato che un giorno avrebbe fatto squadra con la first lady degli Stati Uniti per presentare l’Oscar per il Miglior Film.

Si tratta di roba più alla Hunter S. Thompson che da Oscar, difficilmente qualcosa di presidenziale. Tuttavia, ha perfettamente reso l’idea del matrimonio tra Washington e Hollywood. Se George Clooney sposa il Sudan (ma non la Palestina), perché Jack non dovrebbe farsela con Michelle?

E poi? Obama che si intende con Jessica Chastain?

Il matrimonio che conta veramente – per il futuro – potrebbe essere nel cuore del complesso militare, industrial e di sicurezza di Hollywood, come in Zero Dark Thirty una variazione senza fine dell’ethos della Marvel of the Marvel ma per ora, in termini di giustizia poetica, niente ha più senso che l’Oscar per il Miglior Film assegnato al film diretto da Ben Affleck (e co-prodotto da George Clooney) Argo.

I giurati degli Oscar, più di 6000, non hanno proprio saputo resistere ad una trama liberamente basata su eventi per cui un hollywoodiano patriottico e pieno di risorse salva la CIA; e con un finale certificato da Hollywood come bonus. Quindi, prevedibilmente, si è trattato dell’auto-premiazione di Hollywood, una premiazione all’iper-nazionalismo, agli eroi americani ed ovviamente ai buoni (gli americani) contro i cattivi (gli iraniani).

E come diventa poeticamente importante questa giustizia, quando un film che parla di un film falso che ha preso in giro gli iraniani rivoluzionari della crisi degli ostaggi di 444 giorni viene coronato come Miglior Film, solo due giorni prima che gli Stati Uniti ed altri membri del Consiglio di sicurezza dell’ONU, più la Germania, tornino al tavolo per discutere se ora è l’Iran a prenderli in giro e quindi creare un’arma nucleare.

Argo si dà da fare per provare che l’Iran odia il diavolo Americano, ma che gli iraniani amano Hollywood. Dopo trent’anni, gli iraniani non sono tanto creduloni; spareranno anche al loro anti-Argo. La maggioranza assoluta della popolazione – persino sotto le dure sanzioni di Usa e Europa – sostiene il programma nucleare civile. In parallelo, sarà divertente vedere come viene proiettato Argo da Karachi fino a Caracas.

Ad Hollywood, come ci ha insegnato Orson Welles, è tutto falso. Persino l’ex presidente Jimmy Carter ha ammesso sulla CNN che la sceneggiatura stessa di Argo era canadese – inventata per lo più dall’ambasciatore in Iran Ken Taylor. Tutti lo sanno in Canada, ma ovviamente negli Usa no.

Chiedetelo a Christoph Shultz 

Quello che davvero conta agli Oscar è il tappeto rosso, con il suo motto implicito “Cosa indossi”. In un festival di guardaroba guasti, che meriterebbero un’investigazione dell’FBI, gli occhi annoiati si sono consolati con una Charlize Teron in Dior, una Naomi Watts in Armani e una Anne Hathaway in Prada. Questo è quello che girerà in digitale in tutto il pianeta, dal momento che la maggior parte dei vincitori sono già stati dimenticati.

Non ci sono state sorprese. Se Daniel Day Lewis chef fa la parte del Dio Americano, alias Lincoln, non avesse preso il suo (terzo) Oscar, sarebbe stato vittima di un attacco cibernetico cinese. In realtà, una sorpresa c’è stata: lo Zeus di Hollywood, Steven Spielberg, è stato respinto in favore del film di Ang Lee, Vita di Pi I cinici hanno immediatamente proposto che la cosa aveva molto a che fare con il fatto che Hollywood si sta dirigendo verso il proficuo mercato asiatico.

Quentin Tarantino ha detto che questo è stato l’anno degli scrittori e degli Oscar. È stato certamente il suo anno. È perfettamente sensate che il suo classico sulla vendetta Django Unchained abbia vinto per la Miglior Sceneggiatura ed il Miglior Attore non Protagonista (il maestro viennese, Christoph Waltz).

Per Tarantino,  solo un mostruoso numero di vittime può portarci alla Giustizia. Uno potrebbe stancarsi delle sue continue esagerate stranezze. Tuttavia, il fatto è che il suo rimedio per l’America – quando il male ti fissa negli occhi, usa le armi a tutto spiano – è credibile, perché i suoi personaggi sono scritti in maniera splendida. Non c’è da stupirsi che la lobby delle armi e svariati fanatici della National Rifle Association stiano usando Django come PR principale tra gli afro-americani. Se dovessero seguire Django alla lettera (“la D è muta”), probabilmente gli Usa del post-apocalisse assomiglierebbero al satirico Django Uncrossed.

In effetti, l’Oscar potrebbe essersi un po’ salvato dalla sua love story con la CIA quando il premio per la Miglior Sceneggiatura è andato a Tarantino, piuttosto che a Tony Kushner per il totemico Lincoln. Probabilmente Kushner – e Spielberg – hanno creato la loro epopea contro lo schiavismo dando semplicemente un’occhiata a Frederick Douglass o alla “Ricostruzione Nera in America” di W. E. B. Dubois , dov’è chiaro che “sono stati gli schiavi fuggitivi a costringere gli schiavisti ad affrontare l’alternativa di arrendersi al Nord o arrendersi al Negro”.

Senza i circa 200.000 neri nell’esercito ed altri 200.000 impiegati in ruoli di sostengo, il Nord avrebbe perso la guerra. O, al massimo, la supremazia bianca del Sud sarebbe rimasta com’era, schiavista e tutto. Niente di ciò viene menzionato in Lincoln.

I due Oscar a Django provano ancora una volta che Hollywood non sa vendicarsi. Anche quando si tratta di uno spaghetti-western distorto e cripto-psichedelico che farebbe vomitare John Ford. Beh, è sempre il selvaggio West. Più selvaggio dei sogni più selvaggi di Jack Nicholson.

Oggi, Tarantino potrebbe essere il miglior sceneggiatore a decifrare Barack Obama, il nuovo Lincoln. Che ne dite di un western ricercato, che mostra il passaggio dalla guerra globale al terrorismo fino all’invisibile guerra ombra, mentre all’interno il nuovo Lincoln sceglie il controllo delle armi misto alla sorveglianza dei droni?

O magari Christoph Waltz nei panni del subdolo John Brennan, un confidente dell’allora direttore della CIA George Tenet, sempre al corrente “sull’intelligence e sui fatti sistemati intorno alla politica” per giustificare la Guerra in Iraq e che poi si mette a fissare i parametri sulla tortura e cerca l’approvazione del Dipartimento di Giustizia.

Immaginate la scena di Waltz, con la sua particolare dizione, che testimonia al Senato del Comitato dell’Intelligence – come ha fatto Brennan all’inizio del mese – che “I regimi di Teheran e Pyongyang si ostinano a perseguire sistemi di consegna di armi nucleari e di missili balistici intercontinentali”.

Argo è per femminucce. È arrivato il momento di Obomber Unchained.

Articolo di Pepe Escobar

Fonte originale: www.asiatimes.com

25.02.2013

Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ROBERTA PAPALEO

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