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Cuba, l’oro nero e il nuovo ordine mondiale

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L'isola di Cuba, dopo 50 anni di embargo e di tentativi di infiltrazione militare, economica e terroristica da parte degli USA, si è schierata – almeno ufficialmente – con la globalizzazione e l'imperialismo finanziario americano. 
I motivi sono – per le masse – la mediazione di Papa Francesco – che non escludo ci sia stata, ovviamente! – ma anche gli slogan del burattino dei banchieri Obama che, come al solito, recita davanti alle tv in spagnolo frasi fatte e molto pop del tipo "Todos somos americanos". 
Barak Obama ha anche aggiunto nel suo discorso pubblico che vorrebbe la fine dell'embargo verso l'isola entro il 2016, ma è il Congresso che deve pronunciarsi sulla questione. 
Dall'altro lato, il fratello di Fidel Castro, Raul, auspica proprio la fine di un embargo "che sta provocando tanti danni al paese e che deve necessariamente finire". 
Alle dichiarazioni pubbliche è seguito il rituale tanto macabro quanto scenico dello scambio di prigionieri: gli Stati Uniti hanno consegnato tre agenti di intelligence condannati per spionaggio, mentre Cuba un contractor detenuto sull'isola dal 2009. 
È bene precisare che l'embargo nel paese è scattato nel 1960, a seguito della presa di potere proprio di Fidel Castro, il quale, con le sue riforme a carattere socialista e nazionalista, si mise subito di traverso agli USA, che avevano forti interessi economici e commerciali sull'isola. 
L'allora Presidente Dwight Eisenhower impose non solo un embargo commerciale – un divieto di commercio, sostanzialmente – ma interruppe dal '61 qualsiasi relazione diplomatica. 
Nello stesso anno, i servizi segreti americani tentarono un intervento militare nella baia dei Porci, con il solito pretesto del terrorismo usato in tutte le salse e occasioni, mentre nel '62 si sfiorò addirittura un terzo conflitto mondiale per i missili russi che erano stati installati sul territorio cubano.
Naturalmente i motivi per cui si assiste a questo disgelo dopo tutto questo tempo sono solo ed esclusivamente di carattere economico: l'isola caraibica, infatti, fino a questo momento, ha mantenuto un regime socialista che però sta crollando su sé stesso per numerosi motivi, e questo non solo per l'embargo – diventato insostenibile specie dopo l'inasprimento del Presidente G.W.Bush – ma anche per la questione petrolifera, che sta facendo vacillare molte economie legate a doppio filo al Petrolio… guarda caso "nemiche" degli Stati Uniti, o meglio della casta finanziaria transazionale che lì ha la sua base più consistente.
Ma andiamo con ordine: l'economia cubana, rurale ed essenziale, è tuttora costretta con l'embargo a pagare profumatamente in dollari tutti i prodotti importati, cosa che ha reso il sistema molto impopolare, dato che l'isola è ferma – appunto – agli anni '60. 
Essendo però Cuba dotata di sovranità monetaria – il Banco Central de Cuba è pubblico, appartiene cioé allo Stato – il paese può stampare i soldi che necessita, solo che se stampa troppa moneta genera inflazione e svalutazione della stessa, e di conseguenza dell'intero sistema-paese; inoltre, proprio la sovranità POLITICA e non POPOLARE della moneta (come suggerisco da sempre in tutti i miei testi) ha fatto nascere nell'isola fenomeni di corruzione endemica, che hanno reso il socialismo ancora più impopolare. 
A Cuba, attualmente, circolano due monete: la prima, il CUC, serve a pagare i beni essenziali ed è legata al dollaro statunitense, mentre i salari statali vengono pagati in CUP, con un cambio – circa – di 1 a 25.
Dato che molti beni devono essere importati e con l'embargo costano pure cari, bisogna stampare molta moneta, e ciò genera inflazione e svalutazioni eccessive: una situazione ormai divenuta insostenibile. 
La resa però, per chi vi scrive, si è fatta definitiva proprio col crollo dei prezzi petroliferi, dovuti a una vera e propria guerra energetica dell'élite mondiale che sta tentando di mettere in ginocchio determinate economie legate alla materia prima, quali Russia, Venezuela, e – appunto – Cuba. 
L'isola caraibica infatti importa 110 mila barili di petrolio al giorno, di cui una parte viene venduta ad altri paesi caraibici incassando un dividendo. 
Dato che – sempre ufficialmente – il prezzo del petrolio si è abbassato per la produzione smisurata dell'Arabia Saudita (grande amica degli USA) per la produzione americana del petrolio da scisti e – tenetevi forte – per la messa sui mercati internazionali di petrolio nero da parte dell'ISIS (sic!) ecco che il paese, per sopravvivere e pagare di meno, ha dovuto capitolare e arrendersi all'America e al Nuovo Ordine Mondiale. 
Nell'ottica di questa crisi, si può ravvedere anche la caduta del rublo russo, una petrovaluta che si sta svalutando troppo, e che sta svalutando il sistema-paese di Putin, che si è subito affrettato a parlare in tv di "crisi che nasce da questioni straniere".
Ma torniamo a Cuba: quali saranno le conseguenze di questo avvicinamento con il paese di Zio Sam? 
Be', innanzitutto c'è da giurare che l'embargo non sarà tolto subito, o meglio sarà indebolito o eliminato se l'isola ex-socialista accetterà i classici "prestiti" del FMI o di altri istituti finanziari, che costringeranno successivamente il paese a legiferare a favore delle multinazionali e della penetrazione economica – e quindi politica – del paese a stelle e strisce. 
Come sappiamo, poi, al mondo ci sono pochi paesi che non hanno una banca centrale PRIVATA in mano, chessò, ai Rothschild, e una di queste è ancora l'isola caraibica. 
Insomma, accanto al "lato buono" delle aperture commerciali magnificate dai media di regime come per esempio l'aumento del tetto delle rimesse verso il paese da 500 a 2.000 dollari, l'aumento del commercio dei sigari cubani, l'aumento dei viaggi da e per il paese con la possibilità di creare nuove imprese straniere, si nasconde la solita volontà di ingabbiare la nazione come è accaduto all'Europa dopo il secondo conflitto mondiale. 
Cuba si è arresa, è vero, ma la questione geopolitica del petrolio è sul serio una guerra a bassa intensità, e rischia di far cadere altri paesi come birilli, uno fra tutti il Venezuela, la cui economia si basa proprio sul mitico oro nero.

 

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