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Criminalità, violenza e malnutrizione

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       Se non fosse per il fatto che la cronaca nera riempie quotidianamente le pagine dei giornali, al punto da renderci assuefatti, non credo che accetteremmo in modo così disarmante che la criminalità e la violenza siano problemi impossibili da estirpare dalla società moderna. Secondo i dati relativi ai delitti denunciati nel 2016, forniti dal dipartimento per la Pubblica Sicurezza del Ministero dell’Interno, in Italia vengono commessi ogni giorno quasi 7mila reati (1). Per quanto il dato sia in calo rispetto ai due anni precedenti (forse anche perché molti non sporgono più denuncia?), una reale soluzione al problema sembra essere ancora solo un lontano miraggio. 

Com’è possibile che la criminalità, la violenza e i comportamenti anti-sociali continuino ad essere problemi così diffusi nelle società civilizzate?

       Per la giustizia penale, se un imputato è in grado di intendere e di volere, il suo crimine viene considerato come il risultato di una scelta di libero arbitro. Se da un lato questo modello aiuta i giudici nel difficile compito di applicare o meno una condanna, dall’altro lascia basiti la superficialità con cui viene valutato il funzionamento del cervello, l’organo maggiormente coinvolto nel libero arbitrio. In pratica, o il cervello funziona oppure non funziona.
       Tuttavia, come spiegato dalla dott.ssa Tuormaa, non è affatto scontato che in un cervello “funzionante” tutti i processi biochimici avvengano correttamente: 

“il trend di crescita nelle statistiche del crimine e della violenza assomiglia ad un’epidemia, i cui sintomi comprendono la confusione mentale unita a una completa mancanza di controllo emotivo o comportamentale. I governi e i media danno la colpa a vari fattori sociopolitici, come la tv, i film violenti, la povertà, la mancanza di guida da parte dei genitori, abusi infantili, frustrazione, mancanza di motivazioni, carenza di istituti adeguati, ecc… La colpa è stata attribuita praticamente ad ogni cosa, eccetto ad una nutrizione sbagliata. Invece, un’alimentazione scorretta può modificare il funzionamento del cervello fino a portare a gravi disfunzioni mentali, incluso il comportamento violento e criminale. Quando ci si trova davanti ad un individuo dal comportamento violento, è necessario indagare se la dieta è carente di frutta e verdura fresca, se sono presenti intolleranze o allergie a qualche alimento consumato regolarmente e se è presente un’intossicazione da metalli pesanti (piompo, cadmio, alluminio, ecc…) tramite analisi minerale dei capelli” (2).  

       Questo non significa che ogni manifestazione di comportamento violento e antisociale sia unicamente il risultato di una malnutrizione. Anche i fattori sociopolitici giocano un ruolo importante, ma solo un cervello che dispone di tutti i micronutrienti necessari al suo corretto funzionamento può essere in grado di produrre interazioni sociali positive.
       Sempre più persone oggi accettano l’esistenza di una relazione tra alimentazione e insorgenza di molte patologie, ma in pochi ritengono realistico che questa possa addirittura influenzare il comportamento umano. Numerosi studi hanno messo invece in evidenza come l’insorgenza di comportamenti antisociali, violenti o criminali sia correlata ad una carenza di micronutrienti, alla presenza di allergie o intolleranze a determinati cibi, ad un’alimentazione eccessivamente ricca di zuccheri raffinati e ad una tendenza all’ipoglicemia.
       Una dieta basata su cibi contenenti zuccheri e farine raffinate, oltre che povera di acidi grassi essenziali, non solo non apporta sufficienti micro-nutrienti, ma le “calorie vuote” di questi cibi ne sottraggono altri all’organismo nei processi di produzione energetica, generando uno stato di carenza cronica che altera il corretto funzionamento del cervello.

Carenze sub-cliniche, non gravi, di micronutrienti, possono dare origine ad alterazioni psicologiche e del comportamento?

       Già nel 1992, il professor David Benton affermò che in alcuni soggetti una carenza sub-clinica non grave di determinati micronutrienti era condizione sufficiente a determinare l’insorgenza di alterazioni psicologiche (3).

       Tra la fine degli anni ’90 e l’inizio del 2000, il gruppo di ricerca del professor Stephen J. Schoenthaler avviò alcuni studi randomizzati in doppio cieco con placebo, su studenti con problemi di condotta in una scuola dell’Arizona (4) e giovani delinquenti detenuti in un carcere in Oklahoma (5). Questi studi ben strutturati hanno dimostrato come una supplementazione di vitamine e minerali, per diversi mesi, sia in grado di ridurre in modo significativo i comportamenti anti-sociali.
       Nel 2002, Bernard Gesch e colleghi riportarono analoghe evidenze in uno studio randomizzato in doppio cieco con placebo, tra giovani delinquenti detenuti in un carcere a Aylesbury, in Inghilterra (6). Oltre a vitamine e minerali, venne aggiunta una supplementazione giornaliera di 4 capsule di acidi grassi essenziali contenenti 1260 mg di acido linoleico, 80 mg di acido gamma linolenico, 80 mg acido eicosapentaenoico (EPA) e 44 mg acido docosaesaenoico (DHA). Non è stato possibile definire se il miglioramento fosse generato in modo specifico dalle vitamine, dai minerali o dagli acidi grassi, ma sulla base degli studi condotti da Schoenthaler e colleghi è probabile che tutti questi micronutrienti siano coinvolti in modo sinergico.


FIGURA 1: Studi in doppio cieco con placebo sull'impatto di un’integrazione di micronutrienti sul comportamento anti-sociale

Fonte: tradotto da Benton, 2007


       Il cervello è l’organo più complesso e metabolicamente attivo nel corpo, e il comportamento umano è il risultato della somma di innumerevoli processi metabolici. Piccole inefficienze in questi processi potrebbero creare un significativo effetto negativo cumulativo. Una riduzione nella disponibilità dei micronutrienti è responsabile di lievi differenze nell'attività di un singolo enzima, ma se questi si moltiplicano per milioni di enzimi, il risultato sarà un effetto cumulativo significativo. L’impatto di una carenza non grave di micronutrienti sulla salute in generale avviene in modo lento e progressivo, mentre a livello cerebrale si ripercuote in modo quasi immediato.
       Una carenza di micronutrienti influenza infatti la sintesi dei neurotrasmettitori, molecole coinvolte in una catena di processi che regolano il metabolismo del sistema nervoso. La corretta attività dei neurotrasmettitori necessita di vitamine e minerali come co-enzimi, dalla sintesi, al rilascio, alla trasmissione, fino alla loro inibizione. Una carenza nella sintesi di neurotrasmettitori come serotonina e dopamina ha dimostrato avere un impatto significativo nell’insorgenza di comportamenti impulsivi, violenti e criminali (7 – 8). 
       Affinché il nostro corpo riesca a sintetizzare la serotonina partendo dall’aminoacido triptofano e la dopamina partendo dall’aminoacido tirosina, sono necessari diversi processi enzimatici, alcuni dei quali possono avvenire correttamente solo in presenza di micronutrienti come il magnesio, lo zinco e la vitamina B6. Secondo quanto riportato dal professor David Benton, ci sono numerose evidenze che hanno mostrato come la carenza di questi specifici micronutrienti sia un problema di incidenza globale, ampiamente sottovalutato.


FIGURA 2: Principali micronutrienti richiesti nella sintesi dei neurotrasmettitori serotonina e dopamina

Fonte: propria elaborazione


       In uno studio del 1997 (9), è stato riscontrato una carenza di zinco e un eccesso di rame in 135 individui maschi, dai 3 ai 20 anni, che si erano resi protagonisti di comportamenti aggressivi e antisociali. Zinco e rame sono inversamente proporzionali nel sangue, se i livelli di rame sono elevati, quelli di zinco tenderanno ad essere bassi. Il rapporto rame/zinco nei soggetti violenti è risultato di 1.40:1, più elevato rispetto al gruppo di controllo in cui era di 1.02:1. In uno studio successivo, un’integrazione di vitamina B6 e magnesio ha dimostrato risultati significativi nella riduzione dei comportamenti aggressivi dei bambini (10).
       La diffusa carenza di zinco e vitamina B6 potrebbe avere un’importante causa a livello biologico: un eccesso di Fattore Malva (HPL) nelle urine. Riguardo a questa misteriosa sostanza, trovata per la prima volta nelle urine di pazienti schizofrenici nel 1958 dal team di ricerca del dott. Abram Hoffer, ho scritto un articolo pubblicato sul sito web di Nexus Edizioni (11). Le ricerche condotte dal dott. Carl Pfeiffer sul Fattore Malva (HPL), hanno dimostrato che questa sostanza è in grado di legarsi alla vitamina B6 e allo zinco, impedendo a queste molecole di svolgere le loro funzioni metaboliche e determinando una carenza cronica di questi importanti microelementi (12). Sia la vitamina B6 che lo zinco sono cofattori in molte reazioni enzimatiche, oltre che necessari per la sintesi di neurotrasmettitori come la serotonina, la dopamina e il GABA, indispensabili per mantenere il sistema nervoso in equilibrio.

       Non appare una mera coincidenza che elevati livelli di Fattore Malva (HPL) siano stati trovati frequentemente in criminali, sia giovani che adulti (13). Nel 1995, il dott. Richard T. Kraus descrisse in dettaglio il case report di un serial killer americano, responsabile dell’omicidio di 11 prostitute, che presentava livelli molto elevati di Fattore Malva (HPL) nelle urine (14). Nell’analisi, il killer attribuiva gli omicidi a una rabbia incontrollabile, causata da un fattore scatenante, come l’essere sminuito o minacciato da queste donne.

       Nel corso delle ricerche condotte dal suo team, il dott. Pfeiffer dimostrò che il fattore malva aumenta in presenza di qualunque tipo di stress, e che i livelli di questa sostanza aumentano o si riducono continuamente, a seconda dell’aumento o della riduzione dello stress a cui un soggetto è sottoposto (13). È questo probabilmente il motivo per cui il dott. Kraus affermò che ”il comune denominatore della violenza e degli omicidi è lo stress” (14). Alcuni individui sottoposti a stress, producono livelli molto elevati di Fattore Malva (HPL), il che determina in loro una forte incidenza di disturbi emotivi, fino all’incapacità di controllare la propria rabbia, soprattutto se provocati. Per questo motivo livelli elevati di Fattore Malva (HPL) nelle urine sono considerati un indicatore biochimico per identificare soggetti a rischio di diventare violenti. In queste persone un’adeguata integrazione di vitamina B6 e zinco sarebbe utile al fine di ridurre i livelli di Fattore Malva (HPL) e di conseguenza anche il rischio di diventare aggressivi. 

       Anche una carenza di acidi grassi essenziali (omega-3 e omega-6), può essere causa di comportamenti antisociali. È stato riscontrato che i bambini aggressivi, iperattivi, con problemi dell’apprendimento e del comportamento, presentavano carenze significative di acidi grassi omega-3 (7). Il DHA (acido docosaesaenoico), è un omega-3 fondamentale per lo sviluppo del cervello nel feto, soprattutto nei primi mesi di gestazione. Viene ampiamente utilizzato dal sistema nervoso in quanto gioca un ruolo chiave nel funzionamento biochimico del cervello. Secondo quanto riportato dal professor David Benton, una supplementazione di DHA ha dimostrato di ridurre gli atteggiamenti violenti e anti-sociali (8).
Benton riporta inoltre che ci sono evidenze secondo cui una dieta a basso contenuto di grassi, così come un basso livello di colesterolo totale (< 145 mg/dl), siano correlati ad una maggiore incidenza di comportamenti anti-sociali nei bambini e negli adolescenti, oltre che ad una maggiore tendenza al suicidio o al commettere omicidi.

Allergie e intolleranze alimentari possono alterare il comportamento?

       Varie sostanze presenti negli alimenti possono dare origine a reazioni immunologiche (di tipo allergico) o reazioni non-immunologiche (di tipo allergico-simile), che possono ripercuotersi anche sugli stati emotivi e mentali di una persona, alterandone il comportamento.
       Negli anni ’70, il pediatra americano Benjamin Feingold sviluppò la teoria secondo cui gli aromi e i coloranti artificiali, così come i salicilati presenti naturalmente in alcuni alimenti (nella maggior parte delle erbe, spezie, frutta, verdura, noci, oltre che nei prodotti contenenti lievito e in molti alimenti processati a livello industriale), alteravano il comportamento di alcuni bambini, favorendo l’insorgenza di iperattività (ADHD). Due studi successivi in doppio cieco con placebo (15 – 16) hanno dimostrato che anche gli alimenti poveri in salicilati sono in grado di generare reazioni avverse in alcuni bambini, tali da alterare il loro comportamento. Il colorante giallo tartrazina (E102) e il conservante benzoato di sodio (E211) hanno dimostrato di provocare reazioni avverse nel 79% dei bambini partecipanti ad uno di questi studi.


FIGURA 3: Percentuali di bambini che hanno mostrato reazioni avverse a cibi a basso contenuto di salicilati in due studi in doppio cieco con placebo

Fonte: tradotto da Benton, 2007


       Nel libro “Not All In The Mind” del 1976, il medico Richard Mackarness riporta il caso di una madre autolesionista, con una storia di episodi violenti verso i suoi figli. Mediante un sistema di test in doppio cieco, diversi alimenti hanno dimostrato di produrre reazioni avverse in questa paziente, tra cui pancetta, uova, carne di vitello, caffè e cioccolato. Mackarness concluse quindi che il comportamento violento della sua paziente “non era tutto nella sua mente”, ma influenzato da quello che mangiava.

       Fino agli anni ’20 del ‘900, l’idea che esistessero allergie o intolleranze al cibo era una teoria non solo denigrata dalla classe medica, ma anche osteggiata. Fu il gastroenterologo W.D. Alvarez, della Mayo Clinic, che descrisse per primo in un articolo scientifico la correlazione tra allergie al cibo e disturbi mentali. L’articolo suscitò una tale ostilità contro di lui da parte dei colleghi, che se non fosse stato per l’apprezzamento e l’appoggio del dott. Mayo senior, uno dei fondatori della clinica, sarebbe stato licenziato. Secondo il dott. Alvarez, le reazioni avverse al cibo potevano in alcuni casi ripercuotersi anche a livello psicologico  (17).

       Secondo il dott. H.M. Davison, non solo qualsiasi alimento è potenzialmente in grado di produrre una reazione avversa a livello celebrale, ma spesso sono coinvolti alimenti diversi. Davidson afferma che una reazione avversa al cibo è in grado di alterare la personalità, trasformando la persona in una sorta di “Mr. Hyde”. Quando gli alimenti coinvolti vengono eliminati dalla dieta, la persona torna ad essere il tranquillo “dott. Jekyll” (18). 

       Non va inoltre sottovalutata la diffusa presenza nei cibi industriali di additivi come il glutammato e l’aspartame, neurotossine in grado di distruggere i neuroni del sistema nervoso centrale. Una semplice minestra pronta, può contenere fino a 1300 mg di glutammato in un piatto da 170 g. Se quel piatto viene mangiato da un bambino di 9kg, ne ricaverebbe 130 mg di glutammato per peso corporeo. La dose tossica definita nei test condotti sui tipi è compresa tra 250 e 500 mg per kg di peso corporeo. Tuttavia è stato definito che gli esseri umani siano 5 volte più sensibili dei topi agli effetti tossici del glutammato 17.

Una tendenza all’ipoglicemia, compensata da un eccessivo consumo di zuccheri raffinati, può predisporre a comportamenti antisociali e violenti?

       Uno studio su adolescenti norvegesi, ha mostrato un’associazione significativa tra consumo eccessivo di zucchero nelle bevande, e la presenza di disagi psicologici, iperattività e problemi di condotta (19). 
       Questo aspetto potrebbe essere correlato alla tendenza all’ipoglicemia, ossia a sviluppare livelli troppo bassi di zuccheri nel sangue. Nel 1924, il medico americano Seale Harris definì per la prima volta l’ipoglicemia in pazienti non diabetici, ossia persone che presentavano sintomi simili a quelli che si generavano in pazienti diabetici in seguito alla somministrazione di insulina (20). Un pasto troppo ricco di zuccheri determina un rilascio eccessivo di insulina da parte del pancreas, causando in determinate persone una riduzione troppo rapida dei livelli di glucosio nel sangue, con ripercussioni a livello fisiologico, in particolar modo sulla corretta funzionalità del cervello. Conseguenze di una condizione di ipoglicemia possono essere confusione mentale, visione sfocata, amnesie, atteggiamenti bizzarri, e secondo quanto suggerito da alcuni ricercatori, talvolta anche comportamenti violenti e aggressivi.

       Viene considerata ipoglicemia una condizione in cui i livelli di glucosio nel sangue scendono al di sotto di 40 mg/dl, tra le 2 e le 4 ore successive ad un pasto 8. L’ipoglicemia non viene considerata una situazione comune, in quanto si ritiene che le proteine e i grassi contenuti negli alimenti riducano i picchi di glicemia e di insulina, riducendo di conseguenza il rischio di sviluppare livelli troppo bassi di glucosio nel sangue. Tuttavia in uno studio condotto su donne in salute (21), è stato osservato che un livello di glucosio nel sangue intorno a 55 mg/dl, non classificabile come ipoglicemico, era ugualmente in grado di alterare il comportamento di queste donne, rendendole più irritabili e aggressive.

       Gli indiani Qolla, una popolazione che vive sulle Ande in Perù, sono noti per l’elevato tasso di omicidi e per le frequenti faide familiari. Descritti nel 1967 dal ricercatore Pertti J. Pelto come “probabilmente le persone più ostili e imprevedibili sul pianeta”, i Qolla sono stati oggetto di studi per verificare se esistesse un legame tra ipoglicemia e violenza, poiché mostravano spesso una fame insaziabile con forte desiderio di cibi zuccherati. Durante gli anni ’70, il ricercatore Ralph Bolton riscontrò una correlazione significativa tra i membri della comunità che avevano maggiore tendenza all’ipoglicemia e l’inclinazione a pensare in modo aggressivo ed ostile (22).


Sopra: manifestazione in abiti tradizionali degli indigeni Qolla a Cuzco (foto di Walter Coraza Morveli).


       Negli anni ’80, il medico finlandese Matti Virkkunen riscontrò evidenze analoghe di tendenza all’ipoglicemia in persone violente, che avevano commesso altri atti criminali una volta uscite di prigione (23). Molti di questi avevano una storia di alcolismo, fattore da non sottovalutare in quanto l’alcool stimola il rilascio di insulina, predisponendo queste persone a nuovi episodi di ipoglicemia. Virkkunen trovò inoltre bassi livelli di serotonina cerebrale nelle persone violente, suggerendo che questo aspetto è correlato con la tendenza all’ipoglicemia.

In base a quanto riportato dal dott. Abram Hoffer, l’ipoglicemia è un problema che coinvolge quasi i due terzi di tutti i pazienti psichiatrici, oltre che il 100%  di tutti i tossicodipendenti. Dopo centinaia di test condotti su alcolizzati, Hoffer ha affermato che in nessuna di queste persone ha mai trovato una curva di tolleranza al glucosio normale nell’arco di 5 ore 17.

       Secondo il dott. William Philpott, una tendenza all’ipoglicemia potrebbe derivare anche da una reazione avversa a livello alimentare, in quanto il consumo frequente di un cibo a cui si è allergici genera una sorta di dipendenza. Testando il livello di glucosio di vari pazienti durante la fase dei sintomi di astinenza, Philpott ha osservato fenomeni di ipoglicemia o all’opposto di iperglicemia, due opposte manifestazioni dello stesso problema, ossia un’espressione fisiologica dello stato di stress a cui la persona allergica è sottoposta. Qualsiasi organo del corpo può essere vittima di questo “stress allergico”, compreso il cervello (24).

Ci sono altri fattori che possono inconsapevolmente condizionare il comportamento umano?

       L’insorgenza di problemi antisociali e violenti è ulteriormente peggiorata dall’interazione tra deficit di micronutrienti e tossine ambientali, in particolar modo da un eccesso di metalli pesanti (7). È stato osservato che in bambini aggressivi o con problemi di condotta e in adolescenti delinquenti erano presenti elevati livelli di piombo nelle ossa. Il piombo è un metallo pesante tossico noto per essere in grado di sostituirsi al calcio e, probabilmente, anche allo zinco. In studi su animali, un’alimentazione ricca di calcio ha ridotto la tossicità del piombo, interessante dimostrazione di come questo metallo sia in grado di sostituirsi al calcio solo se questo è carente.

       Un’esposizione prenatale ad un eccesso di piombo e rame ha inoltre dimostrato di alterare lo sviluppo e la funzione dell’ippocampo, porzione del cervello fondamentale nei processi di apprendimento. Sono state osservate alterazioni nella funzionalità dell’ippocampo in persone che hanno commesso omicidi.
       Un’intossicazione di metalli pesanti è anche in grado di alterare l’equilibrio ormonale. In uno studio su animali intossicati da manganese, sono stati riscontrati bassi livelli di dopamina e serotonina. Il manganese è un oligoelemento fondamentale per il corretto funzionamento dell’organismo umano, ma solo se presente in tracce. Livelli elevati di manganese, oltre che tossici, potrebbero essere una causa importante di comportamento violento. Da quando il manganese è stato proposto come additivo alternativo al piombo nella benzina, il rischio di un’esposizione cronica a livelli eccessivi di questo oligoelemento è diventato un’eventualità da non sottovalutare.

       La Violence Research Foundation di Tustin, California, ha analizzato i livelli di minerali nei capelli di 200 detenuti violenti, mettendoli a confronto con un gruppo di controllo. Il 60% dei detenuti aveva livelli di manganese elevati, a confronto dell’11% nel gruppo di controllo. È stata inoltre definita una correlazione tra comportamento criminale e livelli di manganese nell’ambiente. In 200 contee degli Stati Uniti senza un eccesso di manganese nell’aria, il tasso di criminalità era di 200 criminali ogni 100.000 persone, mentre in 13 contee con alti livelli di manganese nell’ambiente, i tassi erano 6 volti più elevati (18).

       In uno studio del 2004 (25), è stato suggerito come controindicato l’utilizzo di latte di soia o di riso per l’alimentazione di neonati in quanto contengono molto più manganese del latte materno o del latte vaccino, con il rischio di insorgenza di problemi neurologici e comportamentali nei bambini.

       Le numerose evidenze qui riportate dimostrano che un’alimentazione consapevole ed una corretta supplementazione di micronutrienti permetterebbero di prevenire in modo semplice ed efficace una significativa percentuali di manifestazioni violente, criminali ed antisociali, riducendo al tempo stesso la sofferenza delle vittime di queste azioni. Ciononostante, l’incidenza degli aspetti socio-politici continua ad essere considerata di maggior impatto sul comportamento dell’essere umano, senza tuttavia aver portato fino ad ora un contributo significativo nell’eradicare questa epidemia. Un’impostazione teorica di questo tipo porta inevitabilmente a trascurare molte delle cause qui descritte di alterazione del comportamento umano. 
       Negli ultimi decenni l’industria alimentare ha investito la gran parte dei suoi sforzi nel migliorare le caratteristiche tecnologiche dei propri prodotti, rendendoli omogenei, attraenti e poco costosi da produrre. Altrettanta attenzione non è stata dedicata alle caratteristiche nutrizionali degli alimenti commercializzati. Oggi il problema non è più quanto si mangia, ma che cosa si mangia. La capacità di saper scegliere un’alimentazione che possa apportare una corretta base di micronutrienti è diventata una necessità che non può più essere delegata ad aziende o enti governativi. Sulla base della propria individualità biochimica, ogni persona troverà poi ulteriore beneficio nell’integrare quantità aggiuntiva di vitamine, minerali e acidi grassi essenziali.


Bibliografia:

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