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C’è un modo diverso di essere europeisti. Anzi due.

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Nessuno vi ha invitati. Ma adesso che siete qui, dovete rispettare le nostre norme, come noi rispettiamo le vostre quando andiamo nei vostri paesi. Se non vi piace qui, andatevene”. Ѐ la frase che il presidente ceco Milos Zeman ha rivolto ai clandestini, che avevano organizzato una rivolta in un centro di ritenzione a nord-est della repubblica, compiendo atti di vandalismo; la polizia aveva dovuto far ricorso ai lacrimogeni. Un tipo di cose cui siamo assuefatti noi, ma nei paesi civili fanno ancora una certa impressione.

Indignazione ufficiale e ufficiosa dei “grandi” media, mentre la frasetta è diventata (come si dice) “virale sul web”. Ѐ tipica patologia del nostro tempo che le più ovvie asserzioni di verità siano vietate, e che chi le pronuncia sia additato come uno scandaloso o (secondo i casi) come un coraggioso alternativo. Sono forse stati invitati, i clandestini? No. Esigere che rispettino “le nostre norme” è forse una pretesa assurda, che denota mancanza di carità? Se no, possono andarsene da casa nostra: Zeman dice la verità. Che cattiveria!

La Stampa, divenuta sotto la direzione del Calabresi l’Amerikano il modello del politicamente corretto più viscido e untuoso, qualche settimana fa’ ha voluto assestare il calcio dell’asino (è la sua specialità) su Orban. “L’Ungheria alza un muro contro i migranti”, e commenta: “Nuove cortine di ferro rischiano di spuntare in Europa”.

Un esempio di furfanteria giornalista impunito (come tanti altri). Naturalmente si tace che l’Ungheria ha 9 milioni di abitanti e vede arrivare decine di migliaia di immigranti ogni mese.
Quanti milioni se ne devono accettare? Quando è il momento di dire basta prima che la popolazione nazionale si trovi uno straniero in ogni casa?

Ecco un’altra domanda che è vietato porre (si ricordi: il “divieto di far domande”, ossia di porre le questioni che contano, è il segno più certo che siamo oppressi da un totalitarismo) : quanti ne dobbiamo accogliere, In Italia, di africani negri subsahariani? Verso cui (scusate, lo so, non si può dire) l’Italia non ha alcun obbligo storico, non essendo stati mai colonizzati da noi? L’intera popolazione africana supera ormai il miliardo. Ci sarebbero i cristiani siriani, verso cui abbiamo magari un obbligo più alto, prima dei negri. Ci sarà pure un limite, scusate tanto, dopo il quale si ha il diritto (magari il dovere) di dire basta, e cominciare a respingere?

Hai fatto la domanda! Xenofobo! Senza carità!

Impara dal papa Bergoglio che dice che bisogna accoglierli tutti. Non avete sentito? “Respingere gli immigrati in mare è un atto di guerra”. I media più atei e secolari hanno tutti ciucciato e risputato con delizia e voluttà l’ultima casuale espettorazione pontificia: tacendo che la frase era detta in tutt’altro contesto; parlava a giovani asiatici della tragedia che si sta consumando in quei mari, dove i fuggiaschi dal regime del Myanmar sulle barche, vengono rimandati indietro da paesi come la Tailandia, la Malesia e l’Indonesia. Perché noi, gli immigrati, non li respingiamo in mare, nemmeno uno; anzi li andiamo a prendere appena gli scafisti ci chiamano col satellitare. Certo Bergò non parlava di noi, stavolta.

Un’altra furfanteria giornalistica, naturalmente: ma ogni colpo basso è lecito, perché si tratta di smentire, dar torto e demonizzare – tenetevi forti – Salvini. I progressisti esibiscono la loro “solidarietà” senza limiti, si fanno papisti, per uno scopo: esprimere odio. Verso un avversario politico.

Il politicamente corretto è infatti uno strumento per esprimere odio con (falsa) buona coscienza. In questo caso, si tinge di buonismo, o financo di “amore per il lontano” onde poter sputare veleno sul vicino, il concittadino.
Il politicamente corretto è odio in sé (basta vedere la faccia della Boldrini: quando esala uno dei suoi decretali, è storta dall’odio).

Così possono lasciar inevasa la domanda: quando si può dire basta?
Domanda che non si deve fare.

Poi ce n’è un’altra che Boldrini, Napolitano, Mattarella, Bersani (per fare qualche nome), giornalisti, prelati e politici caritatevoli non fanno mai. Come mai arrivano tutti questi immigrati? Qual è la causa di questa ondata?
Il  presidente  Zeman  ha osato dirlo:  

“Di questo grande afflusso di rifugiati e di clandestini illegali verso l’Europa sono responsabili gli Stati Uniti ed i paesi europei che hanno partecipato nella esecuzione dei piani dementi attuati in paesi come l’Iraq, la Libia e la Siria”.

Il presidente Zeman ha osato dirlo:

“L’ondata di migranti prende origine dalla idea assurda di lanciare un intervento militare in Irak, accusato di avere armi di distruzione di massa mentre non è stato trovato niente”.  

Poi se l’è presa con la voglia americana di “restaurare l’ordine in Libia” e destabilizzare la Siria, ma con piena complicità degli europei che “hanno aiutato a coordinare le operazioni in Libia”, seminando il caos dove prima c’erano degli Stati. Da queste destabilizzazioni sono nati i gruppi terroristi islamisti che adesso contribuiscono a far fuggire profughi dal Medio Oriente col terrore.

Pensate un po': è qualcosa che sanno tutti, e nessuno lo dice. Che la colpa sia dell’Impero del Caos, delle destabilizzazioni che ha sparso e sta spargendo in Nordafrica, in Medio Oriente e in Europa (Ucraina) su pulsione di un progetto israeliano e neocon, è evidente per sé. Non lo dice il presidente Mattarella, non lo dice il Papa. Figurarsi se lo dicono la Merkel e Hollande o Cameron, o Juncker. Non lo dicono i politici e i giornalisti.

La dice il presidente di una piccolissima repubblica ceka, Milos Zeman.
Del resto, è lui, Zeman, che l’aprile scorso ha annunciato che andava a Mosca per la parata celebrativa della fine della seconda guerra mondiale, mentre tutti gli europoidi la disertavano in odio a Putin. E siccome l’ambasciatore Usa (tal Schapiro…) l’aveva rimproverato, lui ha rifiutato di accoglierlo al palazzo di Praga, dicendo:

«Fatico a immaginare l’ambasciatore ceco a Washington che dice al presidente degli Stati Uniti dove debba andare. E non permetterò a un ambasciatore di interferire con i miei programmi di viaggio».

Mostrando che non c’è bisogno di esesre dei giganti militari per avere una dignità, e saperla difendere.

Viene il dubbio: che esista un altro modo di essere europei.
Ѐ un’altra domanda che è vietato fare, figurarsi poi praticarla.

Victor Orban, nazionalista ungherese, sulla scena politica dall’89, primo ministro all’età di 35 anni. Nel 2002 perde le elezioni; otto anni d’opposizione. Quando il popolo magiaro lo riporta al governo nel 2010, non nasconde la sua visione: il modello liberista d’Europa è fallimentare, l’Ungheria (in mano alle banche e agli interessi stranieri, che hanno comprato i suoi beni comuni) ne ha sofferto troppo; la via è la riconquista della sovranità ceduta. Lo anima una precisa idea dell’interesse nazionale. Riprende il controllo dei settori strategici di Stato, perduto con la “apertura ai capitali stranieri” nel 1989. Le ditte fornitrici di gas, elettricità ed acqua sono straniere? Lui però impone il controllo dei prezzi, e le carica di imposte. L’introito fiscale conseguente consente il risanamento delle finanze pubbliche. Nel 2008, rimorsa in anticipo l’ultima tranche del prestito contratto con il Fondo Monetario, liberandosi così della tutela dell’ente pignoratore globale e dei “consigli” dei suoi cosiddetti esperti.

La demografia ungherese è in tragico calo (tasso di fecondità 1,41); Orban facilita l’accesso alla cittadinanza a tutti coloro che sono di origine magiara, ma sono fuori dai confini dello stato attuale. Ѐ un tema delicato e scottante: colpevole di essere rimasta fedele all’impero asburgico, l’Ungheria è stata saccheggiata e lacerata alla fine delle Grande Guerra, col trattato di Trianon. I paesi vicini ne hanno divorato intere regioni e popolazioni, le viene negato lo sbocco al mare che aveva in Croazia, la superficie del territorio è stata ridotta dei due terzi, la popolazione passa da 19 a 7 milioni. Ciò significa che ancor oggi ci sono più ungheresi fuori dall’Ungheria, che dentro: fratelli, la cui lingua e il cui aspetto li distingue e rende inconciliabili agli slavi. Una ferita – un’offesa – che il piccolo eroico popolo non ha mai dimenticato d’aver ricevuto dalle potenze europee vincitrici, e che spiega la “deviazione” dall’europeismo beota e servile degli altri, italiani compresi, e il perseguimento di una via originale.

L’economia è troppo dipendente dalla UE (il 76% degli scambi commerciali avvengono con la Unione); Orban apre a Russia e Cina, facilita il rilascio di visti di lunga durata ai cinesi, sperando così di attrarre loro capitali, iniziative, dinamismo economico. Con Mosca, cerca di approfondire relazioni politiche oltre che economiche. Ha fortemente criticato la politica europea delle sanzioni alla Russia, che danneggia il suo stato.

Per questo, la Nuland lo ha minacciato direttamente senza nominarlo in un discorso fatto in Romania l’estate del 2014: 

“Come si può dormire sotto la coperta dell’articolo 5 della NATO – ha tuonato la Nuland in Kagan – di notte, e promuovere la ‘democrazia illiberale’ di giorno; eccitare il nazionalismo; restringere la libertà di stampa, e demonizzare la società civile?”. 

La “società civile” sono, ovviamente, le ONG e le “spontanee” organizzazioni di “cittadini” da utilizzare per rivoluzioni colorate.

Ovviamente, le autorità europee eseguono, lanciano continue procedure d’infrazione contro Budapest. Le multinazionali spoliatrici lamentano di soffrire di politiche discriminatorie, e premono su Bruxelles, Berlino, Washington, perché sia riportato l’ordine della “libera” competizione. Juncker (calcio dell’asino) insulta Orban pubblicamente dandogli del “benvenuto dittatore” e salutandolo col saluto fascista.

Orban gioca sul filo del rasoio. Non può fare a meno degli aiuti UE – che peraltro gli spettano come a qualunque stato sfavorito – che valgono il 97% degli investimenti pubblici. Ma persegue la sua politica, con risultati che – inaudito – segnano un relativo successo. Fra i successi c’è il fatto che la GDF Suez (la multinazionale francese) ha preferito cedere le attività elettriche, che s’era accaparrata durante le “liberalizzazioni”, alla MET Zrt, azienda ungherese: una nazionalizzazione (ma non lo dite!). Nel gennaio 2014, Budapest annuncia che Rosatom (russa) costruirà due reattori per la centrale atomica di Paks: ricerca di autosufficienza energetica? (ma non si può dire). Un mese dopo, Orban incontra Xi Jinpin e parlano di relazioni economiche.

Intanto, le tasse pagate dalle multinazionali in fuga hanno permesso di ridurre il debito, e abbassare il deficit sotto il mitico livello del 3% (al 2,7 nel 2013) che è la pietra di paragone della virtù germanico-europoide: quando riduci il deficit sotto il 3, chi ti può criticare? Non è politicamente corretto.

La crisi mondiale in corso dal 2008, ovviamente, colpisce anche l’Ungheria; nonostante che il paese abbia fatto meglio di molti altri della UE a livello macroeconomico, parte crescente della popolazione si impoverisce. Come in Italia, meno che in Spagna e Portogallo, o in Grecia: ma qui i nemici infileranno il cuneo per provocare una rivoluzione colorata. La sola forza di Orban è il suo seguito popolare inalterato. Ѐ qui che cercano di usurare, puntando sui malcontenti. Nell’ottobre 2014, la proposta di porre una tassa su Internet (50 cents per ogni gygabite scaricato) ha suscitato una spontanea protesta; Orban ha ritirato la proposta. Commento di Repubblica: 

“A volte anche gli autocrati sono costretti a cedere alle proteste popolari e alle critiche internazionali, americane o dell’Unione europea”. 

Ah, ecco.

A gennaio ci hanno riprovato: manifestazione contro l’avvicinamento alla Russia. Grandissima, “almeno cinquemila persone”, titolano i giornali italiani: 

“Da ottobre, da quando il governo ha presentato una tassa sull’uso di internet, poi ritirata, nel paese si svolgono regolarmente manifestazioni contro l’esecutivo”.

Ah ecco, è la famosa società civile di cui parlava la Nuland.

Altra prova della “società” civile a luglio: stavolta, la protesta è contro “Il muro anti-immigrati” che tanto spiace a a Bruxelles. Numero dei manifestanti “un migliaio”. Nelle zone dove il reticolato viene levato (175 chilometri) “la gente è piuttosto favorevole”.

Un giorno o l’altro però ci riusciranno, a fare la rivoluzione colorata e ad espandere la democrazia anche lì. Fino a quel giorno, Orban, con il ceko Zeman, resistono a mostrare che c’è un modo diverso di essere europei.

Fonte: maurizioblondet.it

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