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Abdeslam: a processo “non prima del 2020” (non c’è fretta).

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L’avevamo notato in tanti, ma adesso (grazie al sito Panamza) mettiamo meglio a fuoco la stranezza dell’arresto di Salah Abdeslam, il giovane gay, “la mente” degli attentati di Parigi, sfuggito per mesi alla cattura secondo i media. Si guardi questo video:
 

Il momento interessante è dal minuto 3.56. Un folto gruppo di teste di cuoio con le armi brandite si apposta alla porta di una palazzina:  Un dirigente grida di arrendersi a quelli dentro: “È la polizia federale, …Uscite dalla porta principale!”.

Dal 4.18 è il video di telegiornale iTelé. “La tensione è massima, i terroristi sono asserragliati e potenzialmente armati”, dice il reporter. Poi uno esce, letteralmente a pochi centimetri dalle teste di cuoio e si mette  a scappare lungo il marciapiede. Ha un  berretto bianco floscio. Gli armati gli sparano da pochi metri, e apparentemente lo feriscono a una gamba.

Basta guardare la scena per sentire che la cosa appare assurda. Per qual motivo Salah Abdeslam cerca di scappare in quel modo, invece di arrendersi a mani alzate? Sperava di far perdere le proprie tracce, avendo i poliziotti a un metro? E questa sarebbe “la mente”?

Ma la domanda vera forse è un’altra. È proprio Salah Abdslam questo personaggio col berretto bianco? Ha il volto praticamente coperto. E la polizia, dopo averlo abbrancato, gli rimette il berretto (o quel che è) di nuovo in testa, nascondendone il viso. Palesemente, mentre viene fatto salire in auto, gli agenti in assetto di guerra lo nascondono col loro corpo. Come mai? Forse perché il viso di Salah Abdeslam è troppo conosciuto, essendo la  segnaletica apparsa su tutti i media?

Un’altra stranezza  al minuto 4.46. Mentre viene trascinato verso  l’auto, il   ferito (molto lievemente, sembra: non sanguina per niente)  perde qualcosa: un oggetto rettangolare chiaro gli scivola dall’orlo dei pantaloni.


Cosa gli cade dai pantaloni?


Una lettera?

Un foglio di carta? O qualcosa di più rigido?  Gli agenti se ne infischiano. Quando,  poche ore dopo, la cosa sarò fatta notare dalla tv fiamminga VTM, gli inquirenti diranno di ”non aver trovato”  il reperto.  Di non essersene accorti, avevano altro a cui pensare. Peccato.  Un altro indizio sfuggito alla leggendaria polizia belga.

http://www.lesoir.be/1157283/article/actualite/belgique/2016-03-21/salah-abdeslam-un-indice-aurait-echappe-police-lors-son-arrestation-video

Altre stranezze: la polizia non isola l’immobile prima dell’azione, anzi nemmeno ferma la circolazione;  abitanti occhieggiano dalle finestre e dalle vetrine, esterrefatti.

È un’enorme differenza  in confronto alla irruzione delle teste di cuoio francesi a Saint Denis nei sobborghi di Parigi, il 18 novembre; la violentissima irruzione in cui restarono uccidi tre pretesi terroristi,  Chakib Akrouh e Abdelhamid Abaaoud dalle cinture esplosive e la cugina di questo Hasna Ait Boulahcen, che s’era sporta gridando forse per arrendersi sepolta dalle macerie. Questo secondo la versione ufficiale, perché la zona fu isolata, transennata, e i giornalisti tenuti a un chilometro di distanza. A cose fatte fu concesso loro di visitare la palazzina letteralmente devastata (i poliziotti spararono oltre 1500 colpi, contro gli 11 dei jihadisti).

Com’è stata diversa la cattura di Salah. A rivederla, sembra diretta da un regista mediocre con pochi mezzi, il preteso Salah impersonato da un cattivo attore, i colpi d’arma da fuoco a salve…

Sia come sia.
Fatto sta che Salah (se è lui) da  quel momento è posto, dicono, ”in isolamento totale” nel carcere di Bruges. Proprio totale no, perché – come dirà il suo avvocato –  in cella ha la tv, sicché “è al corrente”.  L’unico che parla con lui – e ne riferisce ai giornalisti – è il suo avvocato, Sven Mary: e riferisce che Salah  “collabora”, che “sta confessando”.

Strano anche questo avvocato. È un giovane principe del foro, che ama le cause mediatiche… È stato lui ad offrirsi “da prima” come difensore: 

“Se domani Salah Abdeslam mi sollecitasse, accetterei di essere il suo avvocato”, 

aveva dichiarato il giorno stesso a Le Soir, primo quotidiano di Bruxelles. Ad una condizione, aveva aggiunto: che Salah non neghi di essere stato a Parigi, altrimenti l’avvocato di grido non l’avrebbe difeso. Che cosa significa? Che l’accusato  cominci a dichiararsi colpevole degli attentati di Parigi, e allora l’avvocato troverà un modo di attenuare la sua pena? O perché Salah potrebbe  negare verosimilmente di aver preso parte agli attentati di Parigi di novembre, in cui fra l’altro è morto come kamikaze suo fratello Ibrahim?

L’avvocato Sven Mary diventa dunque il difensore. Sarà bene aggiungere che  non è stato Salah in persona a  chiedergli di difenderlo.

“L’ambiente molto vicino a Salah Abdeslam – spiegherà il legale – mi ha contattato per chiedermi se avrei accettato di rappresentarlo. Ho confermato che accettavo”.  

Strana però l’espressione "L’environnement très proche de Salah Abdeslam m’a contacté": non poteva dire “i familiari mi hanno contattato”? E poi certo visto che s’era offerto lui in anticipo, quasi prima ancora che  Salah  fosse arrestato.

Interessante quel che Panamza ha scoperto su questo vistoso avvocato di famiglia ebraica. Sven Mary è figlio di Tony Mary, grosso imprenditore fiammingo nonché massone del Grand Orient de Belgique di Montpellier; suo zio, Waerd Adraens, è stato direttore del locale museo ebraico della deportazione  a Mekhelen, dove c’era un campo di transito per i deportati (il nonno di Sven ci passò,  verso la deportazione in Austria). Inoltre, la moglie di Sven Mary, Nathalie Buisseret,  che è anche sua socia di studio, difende una poliziotta che ha sostenuto quanto segue: lei, avvertita “da un parente della famiglia Abdeslam” che i due fratelli Ibrahim e Salah “erano completamente radicalizzati e  meditavano di andare in Siria”, ne aveva avvertito i colleghi dell’antiterrorismo: ciò, l’11 luglio 2014, sedici mesi prima degli attentati di Parigi. L’antiterrorismo aveva trascurato questa informazione.

Non si fa’ il nome della poliziotta; né si capisce perché abbia bisogno di un difensore legale. Inoltre, che i due fratelli fossero già radicalizzati nel luglio 2014 è un falso: lo dimostra – qui al minuto 7.31 – un video, diffuso da CNN, che mostra i due fratelli mentre ballano in una discoteca nel febbraio 2015,  mesi dopo essere stati   indicati come “islamisti radicali” dalla poliziotta. I due sono ben riconoscibili. Chi ha ripreso i due col telefonino? Non si sa.

Un’altra incredibile incongruenza è stata rilevata da Globalresearch, e riguarda la celebre foto dei tre terroristi islamici all’aeroporto,  calmissimi, due pronti a farsi saltare e il terzo col cappellino nero, molto ricercato. Dicevano: è un fermo-immagine dalle telecamere di sorveglianza dell’aeroporto, diffuso dalla polizia. Invece no: s’è scoperto che la prima fonte che ha diramato la foto dei tre, è stata invece la tv belga “Dernière Heure” (DH.net.be). E l’ha fatto – attenzione – alle 10.27 del mattino tragico mattino (l’attentato era avvenuto attorno alle 8),  mentre la polizia di Bruxelles ha diramato la foto alle 12.58.

Sarebbe stata la polizia a prendere la foto da DH, dunque, e non il contrario; è stata  quella tv a fornire l’immagine che ha dato il via alla caccia al terzo uomo,  indicato da prima come il giornalista freelance poi risultato innocente (il suo cellulare non era nella cellula a quell’ora) –  particolare interessante, la DH è anche la tv che ha diffuso per prima –   alle 9.07, un’ora dopo l’attentato all’aeroporto – il video dove si vedono i passanti scappare nella metropolitana: video comprovato falso, perché si riferisce a un attentato nel metro di Mosca  del gennaio 2011  montato insieme con un attentato a Minsk dell’aprile 2011 – anche se tutti i nostri telegiornali continuano ostinati a proporlo come vero e riferito all’attacco del  22 marzo 2016. Chi è interessato vedrà qui i particolari:

http://www.globalresearch.ca/the-brussels-attacks-what-is-true-what-is-fake-three-daesh-suspects-at-brussels-airport/5516269

Che dire? Però c’è – direte – una speranza: tutte queste smagliature, punti oscuri e contraddizioni della “narrativa” ammannitaci a pezzi e bocconi verranno alla luce quando finalmente, Salah Abdeslam comparirà in giudizio. È stato preso vivo, caso più unico che raro; è la prima volta che un terrorista islamico potrà essere interrogato in un’aula  di tribunale, davanti al pubblico e ai giurati, nel dibattimento fra legali e procuratore, fra difesa e accusa; saranno ascoltati testimoni; i giornalisti potranno vedere e sentire con le loro orecchie. Finalmente, le verità saranno distinte dalle menzogne, disinformazioni o depistaggi, le asserzioni e le testimonianze vagliate come si deve.
Lui  non si oppone all’estradizione in Francia; il processo – in Corte d’Assise a Parigi –  avverrà per direttissima. O no?

“Salah non andrà a processo prima del 2020”,

dice in questo video Alain Marsaud, ex magistrato antiterrorismo  ed oggi deputato francese intervistato da Europe1. Ci sono degli ostacoli,  battaglie procedurali fra i due stati, difficoltà, lungaggini. “Non prima del 2020” vedremo Salah in un’aula, e lo sentiranno tutti.  Non c’è fretta. Possono succedere tante cose  in quattro anni.
 


Articolo tratto dal sito Blondet & Friends

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