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Paul Krugman e la crisi economica

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Mi è stato consigliato il libro del premio nobel per l’economia Paul Krugman “End this depression now” (“mettete fine a questa depressione ADESSO“). Semplice, divulgativo, un po’ banale (anche per stessa esplicita intenzione dell’autore, essendo un libro destinato al grande pubblico e non agli addetti ai lavori), mi ha però confermato in una idea che avevo già espresso in questo post, in cui lamentavo che il pensiero creativo, la capacità di uscire dagli schemi e dai solchi tracciati sembra essere in qualche modo vietato agli economisti, in particolare quelli ben integrati nel sistema (figurarsi un premio Nobel, poi).
Cosa dice, in estrema sintesi, il premo nobel keynesiano? Che la crisi, indipendentemente da come ci si sia arrivati, ha una soluzione semplice. In buona sostanza, dice lui, la crisi è una crisi di consumi, la gente non spende, e i prodotti restano invenduti, le fabbriche non vendono e licenziano, e la gente spende ancora meno, in un circolo vizioso che peggiora sempre più. E siccome il vero problema è la mancanza di denaro, la soluzione è semplice: stampare più denaro. Lui fa l’esempio della comunità di giovani famiglie di Washington che aveva deciso di scambiarsi i favori di baby-sitting, in modo che, a turno, le giovani coppie potessero uscire la sera; per ogni volta che tenevano il bambino di un altro guadagnavano un buono-babysitting; ogni sera che uscivano spendevano il buono-babysitting. Il sistema si bloccò perché non c’erano abbastanza buoni “spendibili“, e le famiglie ne tenevano due o tre nel cassetto, per emergenze future. Soluzione semplice: sarebbe bastato creare un maggior numero di buoni da mettere in circolazione, così da rimettere in moto il meccanismo.
Pur non negando una certa validità di questa analisi, e riconoscendogli anzi l’onestà intellettuale di ammettere che la Fed, così come funziona oggi, crea denaro dal nulla, dispiace che una persona del suo calibro (si presuppone) limiti la profondità dell’analisi a questo. In particolare gli contesto almeno tre carenze, tre punti che avrebbe dovuto trattare:

1. Perché la gente non spende?
2. Ok che il denaro debba essere emesso, ma oggi è emesso a debito. Dovrebbe continuare ad essere emesso a debito?
3. E una volta che si decide di crearne, come si immette nell’economia? Solo lo stato che fa da grande committente, e fa grandi lavori e grandi commesse, o non c’è forse qualche altra forma?

Andiamo alla prima domanda, al primo approfondimento. La crisi è una crisi di consumi. Bene. Ma ci si è posti la domanda: perché la gente non spende? Perché, ad esempio, le coppie tenevano dei buoni-babysitting nel cassetto, quando avrebbero potuto spenderli? Come evidenziato da Andrea Cavalleri che in questo post parla di Gesell, il denaro ha due funzioni che sono tra loro in opposizione e inconciliabili: serve a facilitare gli scambi da una parte e ad accumulare ricchezza dall’altra. E quando la crisi, la paura del futuro, l’incertezza ci impongono di mettere da parte qualcosa, si privilegia il secondo dei due aspetti rispetto al primo; e, guarda caso, la diminuzione di liquidità circolante fa sì che la crisi sia ancora più pesante, e renda la necessità di risparmiare ancora più impellente. Un cane che si morde la coda, a cui i Keynesiani non sanno che rispondere con un diretto “immettiamo maggiore denaro nell’economia“. Che è, dal mio punto di vista, il classico rimedio sintomatico (cura gli effetti) ma non sistemico della tachipirina quando si vuole abbassare la febbre. Ma se non si è capito perché quella febbre è venuta, si rimanda soltanto il problema a più oltre, senza averlo risolto veramente.

A questo punto si deve rispondere alla seconda domanda:  Il denaro dovrebbe continuare ad essere emesso a debito? Ben Dyson ed Andrew Jackson, creatori del filone inglese PositiveMoney, indicano nell’attuale sistema di emissione a debito la causa dei mali del nostro sistema. Come sintetizzato nel postLettera aperta al nuovo governo“, il meccanismo di emissione a debito ci immette in una spirale senza fine che ci precipita in una voragine di debito impagabile, dando oltretutto un potere sconfinato al sistema bancario che ha il potere di decidere a chi prestare e a chi no, comandando e dirigendo di fatto l’economia e il sistema paese. Dyson, senza saperlo, è un po’ auritiano, e l’amico Daniele Pace (“La Moneta dell’Utopia“) glielo andrà a spiegare a settembre. Nel suo libro “Modernising Money” Dyson parla esplicitamente di moneta di proprietà del cittadino, e non di proprietà delle banche che di fatto hanno solo un debito con i correntisti, in questo dando ragione della grande domanda di giacinto Auriti che chiedeva : “di chi è la moneta all’atto dell’emissione?” senza trovare nessuno in grado (o che avesse il coraggio) di rispondergli.
Per concludere, e per rispondere al terzo punto, ritengo che una visione statalista e centralista dell’economia, come indicano (mi pare) i sostenitori della MMT non sarebbe un grosso passo in avanti. Ok, abbiamo sostituito con lo strapotere dello stato lo strapotere delle banche, ma di fatto chi si fida di uno stato che già oggi costringe gli imprenditori al suicidio, imponendogli tasse insopportabili mentre dall’altro lato non paga gli stessi imprenditori quando questi sono suoi fornitori?
La soluzione, estremamente democratica, anzi antropocratica, è quella indicata da Bellia e Preparata, o una loro versione “ridotta“: dividere la quantità di denaro che si è deciso di produrre per il numero di persone della collettività, demandando di fatto ad ogni singolo individuo come spendere tale importo, in una versione estremizzata di democrazia diretta e partecipata.
Per questo non sono in contraddizione le teorie di PositiveMoney (Dyson-Jackson), Auriti, Preparata e Bellia, Gesell: perché vanno tutte nella stessa direzione, che è quella di riportare il potere al singolo individuo, togliendolo alle banche centrali e commerciali che, per come è la situazione oggi, hanno il potere di condizionare le economie degli stati assoggettandoli a elites non elette. Se condividiamo questi punti la spetteremo di dividerci nelle soluzioni, col rischio di dare la scusa, ad osservatori disattenti o superficiali (o peggio, in malafede), che anche noi che abbiamo capito il signoraggio non siamo d’accordo sulle soluzioni. La soluzione, in fin dei conti è sempre la stessa: riportare l’uomo, l’individuo, al centro, sottraendolo dalla schiavitù di poteri autoritari e antidemocratici.

Fonte:ingannati.it

di Alberto Medici – 2 agosto 2013.

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