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Leggendo tra le… bugie. Le pubbliche relazioni, la propaganda e la stampa

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LEGGENDO TRA LE… BUGIE *
Le pubbliche relazioni, la propaganda e la stampa

* intraducibile gioco di parole tra “lines” (righe) e “lies” (bugie)

[Un estratto dell'articolo di Leon Horton pubblicato sull'ultimo numero di NEXUS New Times, disponibile in edicola e nel nostro shop]

Se comprendiamo il meccanismo e i moventi della mente di gruppo, ora è possibile controllare e irreggimentare le masse secondo la nostra volontà senza che se ne accorgano. (1)

Edward L. Bernays, guru delle PR

 

Gli “Spin Doctor”

Il rapporto tra l’industria delle pubbliche relazioni (PR) e la cosiddetta libera stampa è sempre stato difficile da valutare, dato che il confine tra notizie reali e pubblicità fine a sé stessa risulta sfumato da preoccupazioni di carattere commerciale e da interpretazioni politicamente orientate. Da quando hanno avuto ufficialmente origine, negli USA degli anni Venti, le PR hanno esteso le proprie dita manipolatrici dalle agenzie pubblicitarie di Madison Avenue a quasi ogni aspetto della nostra vita quotidiana, dicendoci come comportarci, cosa pensare e cosa accettare come verità. Però non si può dire che, se non ci accorgiamo di quanto siamo controllati, sia colpa nostra, se consideriamo il fatto che anche i media più fidati sono complici di questa manipolazione…
In un’epoca contrassegnata da disparità, imponenti sconvolgimenti sociali e politici, guerre in aumento e gravi questioni ambientali, facciamo sempre più affidamento sui mass media per comprendere i tempi in cui viviamo e i problemi che affrontiamo. Ma in quest’epoca di copertura mediatica 24 ore su 24 e di accesso multipiattaforma, giornalisti e commentatori sono sempre più sotto pressione per trovare materiali con cui riempire le prime pagine, spesso a spese di un giornalismo investigativo serio. Di conseguenza, anche gli organi mediatici più rispettati, BBC compresa, sono costretti a rivolgersi a fonti inaffidabili. Ed è qui che entrano in gioco le PR.
Nel loro libro, scritto nel 1985 e intitolato PR: How the Public Relations Industry Writes the News (PR: Come l’industria delle pubbliche relazioni scrive le notizie), Jeff e Marie Blyskal affermavano quanto segue:

“Gli addetti alle pubbliche relazioni conoscono il modo di pensare dei giornalisti. Per questo sono in grado di confezionare la loro pubblicità in modo tale che i giornalisti la ascoltino e la riportino. In conseguenza di questo, gran parte delle notizie che leggete su giornali e riviste, o che guardate in televisione e sentite alla radio, è pesantemente influenzata da addetti alle pubbliche relazioni. Intere sezioni di notizie sono praticamente di loro proprietà… Purtroppo le ‘notizie’ create dalla collaborazione tra un’agenzia di PR e un giornalista possono sembrare notizie vere riportate da giornalisti intraprendenti e indipendenti. Perciò il pubblico non sa quali notizie e quali giornalisti siano al servizio delle PR.” (2)

Il fatto che l’industria delle relazioni pubbliche e la stampa siano praticamente indistinguibili l’una dall’altra non è nuovo, naturalmente, e a un primo sguardo potrebbe sembrare anche poco preoccupante. Dopotutto, la maggior parte di noi è in grado di distinguere una pubblicità travestita da notizia quando la sbattono in prima pagina. Ma accettare spensieratamente questo fatto come normale vuol dire dar credito alla bugia secondo cui si tratterebbe di un rapporto basato sulla collaborazione piuttosto che sulla corruzione. Per comprendere davvero la natura tossica di questo pericoloso “matrimonio”, dobbiamo tornare a un’epoca precedente a quella in cui il termine “propaganda” è diventato una parolaccia…

 

Manipolare le masse

New York City, 1929… In un’epoca in cui le donne che fumano in pubblico vengono considerate non proprio delle signore e associate a delle prostitute, 30 debuttanti newyorkesi sfilano lungo la Fifth Avenue, fumando apertamente sigarette Lucky Strike in segno di sfida e di emancipazione. I giornalisti vengono informati del fatto che le sigarette sono “torce di libertà”, una forma di liberazione femminile in azione, e la storia viene ripresa da giornali di tutti gli stati americani. Nel giro di pochi giorni, ovunque le donne escono per strada e si accendono una sigaretta.

Questa fu una grossa notizia all’epoca. Ma in realtà non era affatto una notizia. Era completamente inventata. Le debuttanti erano, in realtà, modelle reclutate dal pubblicitario Edward Bernays, il quale a sua volta era stato ingaggiato da George Washington Hill, presidente dell’American Tobacco Company, per far aumentare le vendite di sigarette. Molti considerano questo evento il momento del lancio di un settore completamente nuovo, quello delle relazioni pubbliche. Pochi si lamentarono del fatto che la stampa si fosse fatta ingannare da questa trovata pubblicitaria – lamentele senz’altro mitigate, tra l’altro, dall’aumento nelle vendite di giornali e riviste – e da quel giorno in poi il problema non ha fatto che diventare più evidente.
Nato a Vienna nel 1891, Edward Bernays, essendo nipote di Sigmund Freud, sfruttò la reputazione e le teorie psicoanalitiche di suo zio per sviluppare la propria reputazione come pensatore e teorico. Barnays si autodefiniva uno psicoanalista per grandi imprese ansiose, e promosse quest’immagine scrivendo vari libri sull’argomento, tra cui Crystallizing Public Opinion (Cristallizzare l’opinione pubblica) e Propaganda. Definiva la propria professione simile a quella di un “sociologo praticante” dalla “competenza simile a quella dell’ingegnere industriale, dell’ingegnere gestionale o del consulente finanziario nei loro rispettivi campi”. (3)

Nel suo libro del 1928, intitolato Propaganda, Bernays espone il proprio obiettivo:

“La manipolazione consapevole e intelligente delle abitudini e delle opinioni organizzate delle masse è un elemento importante nella società democratica. Coloro che manipolano questo meccanismo nascosto della società costituiscono un governo invisibile che rappresenta il vero potere dominante del nostro paese…

“Noi siamo governati in gran parte da uomini di cui non abbiamo mai sentito parlare, che plasmano le nostre menti, formano i nostri gusti, suggeriscono le nostre idee. Questo è un logico risultato del modo in cui è organizzata la nostra società democratica. Numerosissimi esseri umani devono cooperare in questo modo per vivere insieme in una società correttamente funzionante.” (4)

Con l’ascesa dei nazisti e la loro appropriazione delle tecniche di propaganda negli anni Trenta, forse Bernays si pentì delle proprie parole, che comunque, anche secondo gli standard degli anni Venti del secolo scorso, mettevano a disagio il lettore:

“Quasi in ogni atto della nostra vita, nella sfera della politica come degli affari, nella nostra condotta sociale o nel nostro pensiero etico, siamo dominati dal numero relativamente limitato di persone… che comprendono i processi mentali e i modelli sociali delle masse. Sono loro a tirare i fili che controllano la mente del pubblico…” (5)

Bernays non fu certo il primo a praticare tecniche di PR, ma viene spesso considerato il padre fondatore di questo settore.

Oggigiorno, le pubbliche relazioni costituiscono a pieno titolo un mezzo di comunicazione multimiliardario, un vasto impero basato sul controllo, che non deve rendere conto a nessuno.
Nell’introduzione all’edizione americana del libro di John Stauber e Sheldon Rampton del 1995, intitolato Toxic Sludge Is Good For You: Lies, Damn Lies and the Public Relations Industry (La melma tossica fa bene: Bugie, maledette bugie e l’industria delle pubbliche relazioni), il giornalista e scrittore Mark Dowie afferma quanto segue:

“Il moderno ‘account’ gestito da un gigante delle pubbliche relazioni o della pubblicità è attualmente in grado di offrire anche una campagna globale comprendente una mescolanza strategica di ‘media comprati’ (pubblicità) e ‘media gratuiti’ (PR). Se a questi si aggiungono alcuni degli altri servizi standard offerti dalla maggior parte delle aziende di PR – tra cui ‘gestione delle crisi’, spionaggio industriale, censura organizzata e infiltrazione di gruppi civili e politici – si ottiene una formidabile combinazione di tecniche persuasive a disposizione di grandi imprese e di chiunque possa permettersi di avvalersi dei servizi di un’azienda di pubbliche relazioni.” (6)

In che modo, allora, il settore delle PR, con il suo bagaglio di metodi collaudati per creare pseudo-eventi, fabbricare pubblicità gratuita e controllare immagini pubbliche, è riuscito a diffondersi dagli annunci pubblicitari per la vendita di sigarette e colluttori agli editoriali del cosiddetto vero giornalismo? In che modo i giornalisti hanno consentito che accadesse questo? La verità è che le PR non si sono semplicemente infiltrate nelle notizie, ma le hanno saturate. E se i giornalisti stessi non riescono a distinguere la differenza, allora che speranze ci sono per noialtri? Questo è senza dubbio il nocciolo della questione.

 

Giornalismo “propagandizzato”

All’interno del settore si accetta il fatto che i media non riportino quasi mai notizie su loro stessi. Soltanto quando non possono assolutamente ignorare una notizia, come nel caso di intercettazioni telefoniche illegali, i giornalisti si mordono tra loro. Questo è un settore in cui un cane può sbranarne un altro soltanto a proprio rischio e pericolo. Nel 2009, però, il premiato giornalista del Guardian Nick Davies fece proprio questo con la pubblicazione del suo libro Flat Earth News.

Brillante esempio di giornalismo investigativo, Flat Earth News denuncia la misura in cui i mezzi di comunicazione globali si sono fatti inquinare da PR e propaganda, e chiunque s’interessi di giornalismo dovrebbe leggerlo. Nel discutere l’influenza delle PR sulla sua professione, Davies afferma quanto segue:

“Gli evidenti collegamenti ai media e l’idea ormai logora della manipolazione delle notizie cominciano a malapena a catturare la portata e l’ingegnosità delle tattiche attualmente usate dall’industria globale delle pubbliche relazioni. Ed è proprio quest’enorme fabbrica di manipolazione – che prende di mira mezzi di comunicazione strutturalmente vulnerabili – a spingere falsità e distorsioni direttamente nei nostri canali di notizie…” (7)

Sulle prime è possibile non capire bene cosa Davies intenda per “mezzi di comunicazione vulnerabili”, ma poi l’autore descrive in grande dettaglio in che modo la stampa si sia fatta sopraffare più volte dalle PR, facendosi cogliere nell’atto di riportare come fatti storie prive di fondamento. Dal previsto “millennium bug crash”, che di fatto non si è mai verificato, alla presunta legalità della guerra di Bush e Blair contro l’Iraq e alle false asserzioni quotidiane del Daily Mail, Davies cattura in modo brillante, nel suo libro, l’essenza di un settore in crisi e di una professione che esegue gli ordini di raccontare bugie e di rendere la verità “più sexy”.

Secondo Davies, si tratta essenzialmente di un problema di domanda e offerta:  una scarsità a livello di offerta, esacerbata da imponenti tagli nel numero di giornalisti, e una  domanda costante, da parte dei proprietari delle multinazionali, di massimizzare i profitti. Magnati mediatici come Rupert Murdoch hanno sistematicamente acquistato un settore che una volta era orgoglioso di esercitare il proprio dovere e la propria libertà di dire la verità, lo hanno piegato alle loro volontà commerciali e politiche e hanno operato tagli di personale così ingenti che al giorno d’oggi pochi giornalisti che riescono a guadagnarsi da vivere hanno il tempo o le risorse necessarie per seguire una notizia con indagini serie. Piuttosto, i giornalisti sono costretti a fare affidamento sulle storie preconfezionate che le società di PR e agenzie di stampa come Press Association e Reuters decidono di passare loro.

 

La stampa al microscopio

Per valutare la misura in cui i media britannici, e per estensione quelli globali, fanno affidamento su notizie provenienti dalle suddette società e agenzie, Davies incaricò una squadra di ricercatori della Scuola di Giornalismo, Media e Studi culturali della Cardiff University di indagare su un campione di articoli pubblicati dai più prestigiosi quotidiani britannici, e specificamente il Times, il Guardian, l’Independent e il Daily Telegraph, aggiungendo per sicurezza anche il Daily Mail. Le loro scoperte sono state sorprendenti… Continua…


Puoi leggere il resto dell'articolo su NEXUS New Times n.126 (disponibile nel nostro shop e in edicola)

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