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La Russia mette al bando gli Ogm, gli Stati Uniti no, l’Europa forse

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Cari lettori e care lettrici, ben ritrovati. Dopo il lungo percorso che abbiamo fatto insieme negli ultimi mesi gettando uno sguardo diverso sui conflitti in corso nel mondo, combattuti non solo all'esterno ma anche all'interno della nostra apparentemente pacifica società occidentale, passiamo ora a parlare di qualcosa che in apparenza potrebbe non c'entrare con quanto sta accadendo oggi nel mondo. In apparenza, perché forse qualcuno di voi non mancherà di notare come ogni cosa sia spesso, se non sempre, collegata a molte molte altre, secondo quel principio che Carl Gustav Jung definiva sincronicità

Bene, sincronicità vuole che nella nostra cara Italia uno dei temi molto toccati, di proposito o per sbaglio, dai media sia stato l'Expo 2015 di Milano, che ha dato visibilità a numerosi paesi del mondo e alle loro nuove o antiche tecniche agricole e tradizioni alimentari. Purtroppo, più che di alimentazione, si è parlato però delle vere o presunte infiltrazioni mafiose per la costruzione delle apposite strutture che contenevano l'esposizione, o della visibilità economica che questa avrebbe dato al capoluogo lombardo, o degli scontri tra manifestanti contrari all'Expo e la polizia, con notevoli danni arrecati per i residenti milanesi. Un'occasione sprecata, quindi, anche per fare il punto su questioni abbastanza importanti per l'alimentazione e l'agricoltura nel mondo.

Uno su tutti, ad esempio, quello degli Organismi Geneticamente Modificati. Eh sì, perché proprio in questi stessi mesi i governi europei erano chiamati a decidere su alcune questioni molto importanti che riguardavano il possibile via libera all'utilizzo degli OGM nei loro Paesi.
Infatti, è scaduto proprio il 3 ottobre scorso il periodo di tempo fissato dall'Unione Europea entro il quale i governi dei paesi membri avrebbero potuto esprimersi sull'esclusione geografica del loro territorio dalle colture OGM e dalla vendita di prodotti ottenuti con esse. Una possibilità prevista dalla Direttiva UE 2015/42 varata dal Parlamento Europeo l'11 marzo, che per la prima volta stabilisce la libera di circolazione degli OGM in territorio comunitario e la possibilità di ricerca scientifica su di essi, concedendo però ai governi l'ultima parola in merito. Nello specifico, sono quattro le tipologie di grano OGM brevettate dalle multinazionali dell'agro-chimica che con la Direttiva UE vengono legalizzate: il MON810 di Monsanto, il TC1507 di marca Pioneer, e il GA21 e il Bt11 di Syngenta.

I Paesi UE che alla data fissata hanno richiesto a Bruxelles l'esclusione geografica del loro territorio sono stati diciannove: Ungheria, Germania, Lettonia, Lituania, Polonia, Paesi Bassi, Lussemburgo, Grecia, Francia, Austria, Croazia, Slovenia, Bulgaria, Danimarca, Cipro, Malta, oltre a Scozia, Irlanda del Nord e Galles (non l'Inghilterra), alla regione belga della Vallonia ed infine anche all'Italia, che ha comunicato la sua richiesta di esclusione il 1° ottobre, a due giorni dalla scadenza della richiesta. Il governo di Berlino invece, pur richiedendo l'esclusione geografica, ha dato il via libera alle coltivazioni che risultino per scopi di “ricerca scientifica”. 
Il primato nell'OGM Free spetta all'Ungheria, il cui governo già nel 2013 aveva provveduto a bruciare tutte le coltivazioni di grano OGM in territorio magiaro per evitare che le spore potessero spargersi attraverso l'aria ed alterare la composizione genetica del grano tradizionale, rendendolo anch'esso OGM. Come successe nel 2001 all'agricoltore canadese Percy Schmeiser, che dovette rimborsare Monsanto poiché le spore della colza OGM brevettata dalla multinazionale avevano intaccato le sue coltivazioni tradizionali, modificandole geneticamente.
Un motivo in più che ha spinto i ministri dell'Agricoltura e della Salute dei governi sopra citati a chiedere all'UE l'esclusione geografica dalle colture transgeniche. Il Segretario per gli Affari Rurali scozzese Richard Lochhead ha infatti dichiarato che “la Scozia è nota nel mondo per il suo meraviglioso paesaggio naturale, e mettere al bando lo sviluppo del grano geneticamente modificato renderà il nostro territorio più pulito e più verde”, mentre permettere le coltivazioni OGM rischierebbe di compromettere il futuro del settore alimentare scozzese, che vale 14 miliardi di sterline. Analoghe le argomentazioni usate dal Ministro per lo Sviluppo dell'Irlanda del Nord, Mark Durkan, che ha descritto l'oggettiva difficoltà di separare le colture OGM da quelle tradizionali senza che le seconde possano essere contaminate dalle prime. 
Un problema altrettanto grave legato all'utilizzo di OGM è inoltre la loro non riproducibilità: dai frutti delle coltivazioni transgeniche infatti non è possibile ricavare semi da conservare per le coltivazioni successive, a differenza di quelle tradizionali; un prezzo da pagare per la resistenza di queste colture agli insetti, e ai diserbanti chimici contenenti sostanze dannose come il glifosato che potrebbero invece gravemente danneggiare le coltivazioni tradizionali, ma a cui quelle OGM sarebbero immuni. La realtà, come vedremo fra poco, è però forse un'altra.
L'impossibilità di riutilizzare i semi costringe gli agricoltori a dipendere dalle aziende produttrici, depositarie dei loro brevetti (è loro convinzione che la Vita possa essere brevettata e sottoposta alle leggi del mercato; non solo in agricoltura). In poche parole, i contadini, in particolare nei paesi “poveri”, non avrebbero più la possibilità di continuare a coltivare le loro terre come hanno sempre fatto, le loro colture con molta probabilità verrebbero contaminate da quelle OGM ed in seguito rimpiazzate da queste. Questo significa che poche multinazionali avrebbero il monopolio di tutte le coltivazioni mondiali e di conseguenza del mercato alimentare mondiale: chiunque voglia nutrirsi, lo può fare soltanto se loro lo vogliono e nutrendosi del cibo, geneticamente modificato, che loro ritengono utile diffondere. 
Secondo il rapporto Who will control the Green Economy? (“Chi controllerà l'economia verde?”) pubblicato il 1° novembre 2011 dall'ETC Group, che monitora l'erosione ecologica, lo sviluppo di nuove tecnologie e la concentrazione del potere corporativo nel mondo, le aziende che si dividono il mercato dei semi a livello mondiale sarebbero dieci. La principale di queste è Monsanto, che deteneva all'epoca (ora le cifre sarebbero probabilmente più alte) il 27% del mercato con un fatturato dichiarato di 7.297 milioni di dollari USA, seguita da DuPont con il 17% del mercato mondiale, Syngenta con il 9%, Groupe Limagrain con il 5%, e poi Land O'Lakes e Kws Ag con il 4% ciascuna, Bayer Crop Science (divisione dell'omonima casa farmaceutica) con il 3%, Dow AgroSciences e Sakata entrambe al 2% ed infine DLF Trifolium con l'1%.

Come abbiamo visto, una delle caratteristiche delle colture OGM dovrebbe essere la loro resistenza a prodotti chimici come i diserbanti che danneggiano invece gravemente le colture tradizionali. Motivo per cui l'utilizzo dei diserbanti stessi viene incentivata, data la repellenza ad essi della coltura. Indovinate chi produce quindi questi diserbanti? Be’, le stesse aziende produttrici delle sementi. L'esempio più noto è quello del Roundup, di casa Monsanto. Il suo principale componente è il glifosato, sostanza che nel marzo scorso è stata riconosciuta come “probabile agente cancerogeno” dall'Organizzazione Mondiale della Sanità: una decisione presa dopo trent'anni, poiché già l'Ente Nazionale per la Protezione Ambientale statunitense l'aveva indicato come tale nel 1985, salvo poi sospendere nel 1991 la sua pericolosità in contemporanea con lo sviluppo da parte di Monsanto del grano geneticamente modificato, progettato per essere resistente proprio al Roundup. Ehi, non fate i complottisti! In casa Monsanto non si scherza!
Dalle parti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità, poi, di fretta non ce n'è: a giugno del 2015 l'OMS ha dichiarato la “probabile cancerogenicità” degli insetticidi Lindane e DDT, secondo le valutazioni dell'Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC)… un lungo travaglio, se si considera che il primo è stato bandito negli USA già dal 2006 e il secondo addirittura dagli anni Settanta. 

Dichiarare il glifosato probabile elemento cancerogeno da parte dell'IARC significa ammettere che tale sostanza recava danni all'organismo umano tali da preparare il terreno biologico al possibile sviluppo di questa malattia. Ma le modificazioni all'organismo umano sembrano essere di vario tipo, secondo l'opinione di molti ricercatori e medici, spesso inascoltati dall'establishment scientifico (se non con molti anni di ritardo) e dai mezzi di informazione di massa, almeno negli USA e in Europa occidentale. Infatti l'utilizzo del glifosato è stato collegato anche allo sviluppo di difetti genetici nei nascituri umani: nell'agosto di quest'anno, si sono svolte ben due manifestazioni nelle Hawaii che chiedevano di smettere di avvelenare il Paradiso e salvare le Hawaii dagli OGM. Negli ultimi anni, quattro delle sei isole dell'arcipelago sono state soggette ad un utilizzo intensivo di agenti chimici quali Atrazina, Chlorpyrifos e Paraquat, promossi insieme alle colture OGM come una manna per i portafogli degli agricoltori. Un inquinamento massivo che viene collegato all'aumento di bambini nati con malformazioni, come la gastroschisi, difetto della parete addominale per il quale il bimbo nasce con gli organi addominali all'esterno: secondo Sidney Johnson, dell'ospedale di Kapiolani, dal 1980 ad oggi i casi sarebbero triplicati; secondo la pediatra Carla Nelson, i casi di malformazioni al cuore da lei riscontrati negli ultimi 5 anni, nella cittadina di 200 anime di Waimea, sarebbero ben nove, ovvero dieci volte di più della media nazionale statunitense (Julie Findler su Natural Society, 24 agosto 2015). 
Proteste analoghe si sono svolte anche in Argentina, nella città di Ituzaingo, in seguito ad un aumento delle nascite di bambini con gravi malformazioni, sviluppatosi proprio in contemporanea con l'aumento dell'utilizzo del glifosato. Secondo Sofia Gatica, madre di uno di questi bimbi, ci sarebbero infanti nati “con sei dita, senza la mandibola” o addirittura “con deformità ai reni” e “senza l'ano”. Nel vicino villaggio di Chaco, i parti di bimbi deformi sarebbero quadruplicati negli ultimi dieci anni, in seguito all'utilizzo di biotecnologia, tra cui il glifosato (Elizabeth Renter, Natural Society, 9 novembre 2013). 
Infatti bastano quantità infinitesimali di tale sostanza per causare potenzialmente danni molto seri. Nonostante ciò, negli Stati Uniti l'Agenzia USA per la Protezione dall'Inquinamento ha deciso di aumentare la possibilità di uso del glifosato da 100 ppm (parti per milione) a 400 ppm. 
La diffusione nell'ambiente del glifosato è di tale portata che ne sono state trovate tracce nel sangue di agricoltori di 18 nazionalità diverse (The Lancet Oncology, maggio 2015) e causerebbe gravi danni alle cellule embrionali umane, oltre che al nostro sistema circolatorio, in particolare alterando i rapporti tra globuli rossi e ossigeno nel sangue, con la possibilità di arrivare all'emolisi, cioè la distruzione dei globuli rossi. Questo avverrebbe però in casi di esposizione massiva (come quelli appena visti delle Hawaii e dell'Argentina), ma con il continuo aumento del suo utilizzo il fenomeno potrebbe non essere più marginale (Christina Sarich, Natural Society, 5 marzo 2014).

Una notizia positiva viene però dalla ricerca sull'Acqua. Studi ucraini e russi hanno dimostrato che l'acqua arricchita di fullereni è in grado di detossificare l'organismo al suo interno, proteggendo dagli effetti  di molte contaminazioni, comprese quelle radioattive. In particolare, all'Università nazionale di Farmacia ucraina si è visto come l'acqua al fullerene sia in grado di ripristinare i processi emodinamici, ovvero il flusso sanguigno, e trofici nel fegato, mentre studi dell'Università medica nazionale di Charkiv, in Ucraina, hanno dimostrato i benefici per i soggetti affetti da epatite. Inoltre nel 2011 l'Istituto ucraino per i composti fisiologicamente attivi ha offerto assistenza alle autorità giapponesi per aiutare le vittime delle radiazioni dopo il disastro della centrale nucleare di Fukushima (Richard Alan Miller, La scienza e le promesse dell'acqua al fullerene, su Nexus New Times n. 114, febbraio-marzo 2015). Insomma, anche all'inquinamento da glifosato può esservi soluzione.

A questo punto, potremmo chiederci se davvero il glifosato ed altri agenti chimici di pari pericolosità siano necessari per combattere le piante infestanti, e con essi le stesse coltivazioni OGM progettate ufficialmente per resistere all'uso della chimica in agricoltura.
Christina Sarich su Natural Society del 9 dicembre 2014 segnala ad esempio l'utilizzo in 14 zone diverse del Regno Unito del metodo FoamStream, brevettato dall'azienda britannica Weeding Tech, che uccide le erbacce senza contaminazioni chimiche ma attraverso l'applicazione ad alta precisione di acqua calda e schiuma; un prodotto che avrebbe incrementato il suo successo a partire dal 2012,  con l'entrata in vigore nel Paese del Plant Protection Products (Sustainable Use) Regulations, normativa europea per la riduzione dell'uso di diserbanti chimici in agricoltura. 
Oltre Atlantico, un'invenzione che vuole sostituire gli erbicidi arriva da Frank Forcella, agronomo del Dipartimento dell'Agricoltura USA, ideatore di una macchina che polverizza le erbe infestanti sparando contro di esse piccole quantità di ghiaia particolare ad alta pressione, senza danneggiare la coltivazione. Facile come un gioco, a quanto pare, tanto che Forcella ha dato alla sua invenzione un nome simile a quello di un famoso videogioco: PAGMan, che sta per Propelled Abrasive Grit Management ovvero “Gestione di ghiaia abrasiva proiettata in avanti”. La “ghiaia” di cui qui si parla non è però la normale ghiaia che abbiamo in memoria, ma viene prodotta dal recupero di materiali duri di origine vegetale, come le spighe secche del mais o i noccioli di albicocca: “Mi sembrava uno spreco buttar via tutti questi ossi e ho cominciato a domandarmi cosa facessero con essi i produttori di albicocche. E così venne fuori che a volte li macinano e ne utilizzano la sabbia per le sabbiatrici” racconta Forcella. Da qui l'intuizione sparare questa ghiaia particolare per modellare le superfici del terreno: “Quando il mais è alto 15-30 cm, e le erbe stanno solo spuntando, voi le colpite per una frazione di secondo con la sabbia del mais e state certi che le infestanti spariscono”, spiega Forcella a Rossie Izlar, della Società Americana di Agronomia, che ha diffuso il suo studio sul PAGMan realizzato insieme all'università di Brookings, in Sud Dakota, e al laboratorio dell'USDA per la Conservazione del Suolo a Morris, in Minnesota.

Ma spostiamoci un po' con il nostro mappamondo verso Oriente, o Occidente se vogliamo fare come il Cristoforo Colombo del racconto storico, e andiamo per un attimo nel Subcontinente indiano. Pur sbirciando, dall'India, la costa pacifica dell'Africa. Va bene, non siamo all'ora di Geografia. Restando in tema di alternative ai diserbanti chimici e transgenici, ecco venirci incontro un giovane, antico agricoltore di nome Sumant Kumar, che vive nello stato indiano di Bihar. Kumar riuscì nel 2013 ad ottenere una produzione di riso dieci volte superiore alla media nazionale (22.4 tonnellate per ettaro, anziché 2.3), semplicemente adottando un antico metodo di coltivazione usato originariamente in Madagascar, e diffuso dagli anni Ottanta dall'agronomo e gesuita Henri de Laulanie. In pratica, si tratta di utilizzare la metà dei semi rispetto alle coltivazioni standard, distanziando tra loro le piante di 25 cm e rimuovendo le erbacce… manualmente. Certo, non serviva andare in India per farlo o vederlo fare, si dirà. Ed è così. Ma a riportare questa notizia era The Observer, il 16 febbraio 2013, titolando: India's rice revolution, “La rivoluzione del riso dell'India”.
Con questo nuovo, antico metodo di coltivazione, le piante riceverebbero più acqua e più nutrimento, senza necessità di agenti chimici, e l'ammontare della produzione di Kumar giustifica il titolo del quotidiano britannico. Il metodo che Kumar ha importato dall'Africa non è il solo a garantire la stessa produzione con gli stessi standard di qualità, anzi è uno dei molti inseriti nel protocollo SRI (Sistema di Intensificazione delle Radici) che comprende altri metodi di coltivazione tradizionali, diffusi nel Sud del mondo da una ONG dal nome, quasi sanscrito, di Pran, che sta per Preservation and Proliferation of Rural Resources and Nature, Preservazione e proliferazione delle risorse rurali e della natura (cfr. l'articolo Agricoltori indiani ottengono raccolti record senza OGM, su PuntoZero n.6). Niente OGM, quindi, spedendo al mittente la pretesa delle multinazionali dell'agro-chimica di sfamare il mondo e moltiplicare le entrate economiche degli agricoltori.

L'altra Europa
Ora che abbiamo tracciato un quadro complessivo sui problemi posti dalle coltivazioni transgeniche, ma anche sulle soluzioni e sulle alternative, torniamo nella nostra vecchia Europa. Abbiamo detto che 19 Paesi UE hanno chiesto l'esclusione geografica dalla direttiva votata l'11 marzo scorso che prevede la legalizzazione del commercio e della coltivazione di OGM.
Ma che ne sarà invece per chi nell'UE ha confermato, con il silenzio-assenso, la liberalizzazione richiesta da Bruxelles? Potranno modificare la loro scelta in futuro?

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