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La drammatica situazione delle api

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La natura, nel corso del tempo, può permettersi di rinunciare ad alcune specie animali. È naturale che alcune forme di espressione della vita lascino il posto a nuove forme, così come è naturale che un uomo nel corso del tempo maturi e crei nuove idee. Ma al presente stadio evolutivo la natura non può permettersi di perdere le api. Le api sono un fondamentale pilastro della vita su questo pianeta. Senza le api la natura è come un’automobile che perde una ruota: fa ancora qualche metro e poi, senza controllo, si schianta. E con essa si schianta anche il suo passeggero privilegiato, l’uomo, con tutte le sue idee, vecchie o nuove che siano.

Le api sono responsabili dell’ 80% delle impollinazioni entomofile, ovvero quelle che per la fecondazione dei fiori necessitano dell’attività pratica di un insetto. La differenza che c’è tra un’ape e qualunque altro insetto impollinatore sta nel fatto che quest’ultimo opera in modo occasionale. Al contrario madre natura ha conferito all’ape caratteristiche anatomiche e un temperamento tale da trasformarla nel più specializzato e professionale degli operai.

Da un altro punto di vista, il 30% di tutto ciò che finisce nel piatto dell’uomo avviene per conseguenza diretta dell’impollinazione di un ape. Nessun altro animale può vantare una incidenza così alta. Mele, pere, mandorle, agrumi, pesche, kiwi, castagne, ciliege, albicocche, susine, meloni, cocomeri, pomodori, zucchine, soia, girasole e colza dipendono decisamente dalle api. Ma esse sono anche fondamentali nell’allevamento di animali per effetto dell'azione impollinatrice che svolgono nei confronti delle colture da foraggio, come l'erba medica ed il trifoglio.
Per queste ragioni qualunque segnale di malessere o malattia delle api dovrebbe essere registrato dall'uomo e dalle Istituzioni con il massimo dell’attenzione. Qui non si tratta di salvare un minuscolo moscerino dell’Amazzonia la cui incidenza nella biosfera la natura può facilmente supplire; qui si tratta di un essere da cui dipende la nostra stessa vita terrena. Ma così non é.

Le morie di api che hanno coinvolto l’intero pianeta nel corso degli ultimi anni sono impressionanti e non risparmiano nessuna latitudine. In Germania, sulla base di sette anni, si registrano perdite medie annue del 25%. In Gran Bretagna dal 10 al 12%, ma con una netta impennata l’anno scorso. In Francia l’annus horribilis è stato il 2006, con perdite del 50%. Per quanto riguarda gli Stati Uniti si parla senza sofismi di collasso: le colonie di api sono passaste dai 5 milioni degli anni Quaranta, ai 2 milioni del 1989, tutto ciò unitamente ad una drastica diminuzione di tutti gli animali pronubi, come uccelli, pipistrelli, coleotteri, vespe, calabroni, farfalle e falene. Questa crisi annunciata nel 2004 ha aperto per la prima volta la strada all’importazione di api straniere, sia per la produzione del miele, sia per il servizio di impollinazione (qualcuno deve per forza impollinare le immense distese di mandorli della California). Le cause più palesi immediate di queste morie sono da addebitarsi naturalmente all’inquinamento, alla varroa e più di recente al CCD.

CCD è l’abbreviazione di Colony Collpase Disorder. In questo caso, alveari apparentemente sani popolati da decine di migliaia di api, si ritrovano spopolati e allo stremo nello spazio di brevissimo tempo. Diversamente da altre avversità, le api morte non si ritrovano dentro l’arnia, bensì fuori, nei campi. È come se avessero perso la via del ritorno e per questo motivo, lontano dalla regina e dal calore della propria colonia, muoiono. Inizialmente tale fenomeno è stato messo in relazione con l’inquinamento elettromagnetico generato tendenzialmente dalle antenne della telefonia mobile; invece, più di recente, una serie di sperimentazioni hanno messo in evidenza un chiaro legame tra questo fenomeno e una serie di insetticidi in uso dagli anni 80 e sempre più diffusi.
Si chiamano neonicotinoidi.

Questi insetticidi sono altamente sistemici: il principio attivo, una volta assorbito dalla pianta, viene traslocato non solo sui germogli in fase di crescita, ma anche sui fiori dove api ed insetti vanno a bottinare. Tali agenti chimici agiscono poi a livello del sistema nervoso dell’insetto e bloccano il passaggio degli impulsi nervosi con la conseguente perdita dell’orientamento e morte degli insetti.
Nel 2006, in Francia, in seguito alla moria eccezionale a cui si accennava, i neonicotinoidi sono stati messi fuori commercio (fu uno dei primi provvedimenti di Sarkozy). In Germania, dove la Bayer produce il Gaucho, otto contestati pesticidi sono stati sospesi in seguito a perdite del 30, 40% nell’inverno 2007/2008.

E in Italia, patria dell’apis mellifera ligustica, un’ape dalle caratteristiche eccezionali e per questo esportata in tutto il mondo?
L'Unaapi (Unione Nazionale Associazione Apicoltori d'Italia) ha contato 40.000 alveari spopolati a inizio aprile in Pianura Padana. Anche queste morìe, come quelle avvenute in Germania, si sono verificate al momento della semina del mais conciato (cioè trattato con neonicotinoidi). Un successivo aggiornamento ha portato a 50.000 gli alveari colpiti.

Questa è la testimonianza di un allevatore piacentino, Alberto Magnani, che nell’arco di un solo mese, nel 2007, ha perso quasi tutti i suoi alveari:
[…] Ora pienamente sconfortato dall’inatteso esito dell’avvelenamento, ma anche deciso a fare chiarezza ed inquadrare il mio caso nel panorama di morie generalizzate che ormai emerge chiaramente in tutta Italia, inizio a contattare vari operatori del settore: dalle associazioni di apicoltori, ai laboratori di analisi, ai colleghi professionisti ed inevitabilmente ancora all’INA.
Ne traggo un quadro desolante di interessi e divisioni che mi addolora approfondire.

In seguito a numerosi casi come questo, i primi di aprile una delegazione di apicoltori protestava davanti alla sede del Parlamento a Roma. Il governo di sinistra, poi scalzato, non fece niente. Attualmente, dopo le insistenze degli apicoltori e alcune interrogazioni parlamentari da parte dei Verdi (quello che rimane), il blando impegno del nuovo governo è quello di istituire una inchiesta sulla reale ragione di tali decimazioni, poichè nel quadro desolante di interessi e divisioni a cui accenna l’apicoltore, l’unica verità che emerge é che non c’é nessuna comprovata certezza che la reale causa di queste decimazioni sia imputabile ai neonicotinoidi. Infatti, per un eventuale bando di tali sostanze, si parla di un anno di tempo. Solo il Ministro della Salute Zaia, apicoltore hobbista che l’anno scorso ha perso tre dei tre alveari che possedeva, si impegna a sospenderne l’utilizzo.
Spesso si parla di distanza delle Istituzioni dalla vita reale del paese. Il politico appare sempre più come una figura astratta, che vive soltanto nelle luminescenze dell’ LCD e nelle piatte dichiarazioni che si consegnano alla stampa. Non solo c’è distanza, ma anche una vera forma di ritardo mentale ed operativo, che separa l’Istituzione da questioni ambientali urgentissime. Mentre il mondo abbandona le centrali nucleari perchè costose, perchè di grave impatto ambientale e perchè le riserve di uranio sono in rapido esaurimento, il nuovo governo pensa a costruirne delle nuove. Mentre il carbone viene abbandonato, si apre una nuova centrale nel Lazio. Non é questione di mancanza di denaro, ma di pura e semplice volontà e fiducia nell’operatività del singolo: per questo si preferisce costruire un costoso termovalorizzatore che brucia la monnezza di tutti, piuttosto che organizzare una raccolta differenziata “spinta” che ha come punto cardinale l’assunzione di responsabilità del cittadino. Per questo si preferisce puntare su una centrale nucleare, piuttosto che incentivare il fotovoltaico di cui ciascuno può disporre.

Tornando alle api e alla questione neonicotinoidi, mettere in relazione le blande parole dei politici con il fatto che l’Italia sia uno dei più grandi sversatori di insetticidi, e che un eventuale eliminazione dal commercio dei prodotti della Bayer, della Basf e della Syngenta, causerebbe attriti con le lobby del settore, è gioco facile su cui non voglio insistere.
Piuttosto, c’è da mettere in conto le responsabilità del puro e semplice contadino, il quale dovrebbe essere il primo a valutare la sanità dei prodotti che usa sul campo, così da tutelare ambiente, risorse ed anche il più importante dei suoi collaboratori: che non è nè il politico, nè lo scienziato e neanche l’agronomo, ma la pura, semplice e laboriosa ape.

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