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John Lennon è morto… oppure no?

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La storia la scrivono i vincitori, quindi è sempre diversa dalla realtà? Ne parliamo con Teodoro Brescia Dottore di ricerca, docente e scrittore e autore del libro...

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Qualunque “giallo” che si rispetti ruota intorno a un delitto, ovviamente. E per ogni delitto esiste una “scena del crimine”.

Si tratta di una scena piuttosto suggestiva, in questo caso. Ci troviamo nell’esclusiva Upper West Side di Manhattan, all’ingresso di uno dei più antichi e celebri complessi residenziali di New York City, The Dakota, che ha ospitato, tra gli altri, stelle di celluloide del calibro di Lauren Bacall, Judy Garland e Boris Karloff, ugole d’oro come Roberta Flack e Liza Minnelli, un signore del pentagramma come Leonard Bernstein e il “genio in punta di piedi” Rudolf Nureyev. Un edificio tanto lussuoso all’interno quanto spettrale all’esterno, scelto non a caso da Roman Polanski per le riprese del suo classico del brivido, Rosemary’s Baby.

Il delitto in questione è stato raccontato talmente tante volte che qui basta qualche pennellata per rievocarlo. Verso le 23 dell’8 dicembre 1980, davanti alla cancellata d’accesso del Dakota giace esanime e sanguinante, con quattro pallottole piantate nella schiena, la rockstar più famosa del mondo.
Accanto a lui, a tenergli la testa tra le braccia c’è sua moglie, una controversa artista giapponese le cui urla (non troppo dissimili, secondo i maligni, da quelle incise nei suoi primi dischi solisti) trafiggono la relativa quiete di un “Monday night in the Big Apple” solo in apparenza come tanti altri.
A qualche metro di distanza, un giovanotto occhialuto, grassottello e tozzo – che solo pochi istanti prima aveva assunto una posa militare, con le gambe allargate, per scaricare la sua calibro 38 addosso alla vittima – se ne sta lì lugubremente fermo a frugare tra le pagine di una copia in brossura di The Catcher in the Rye di J.D. Salinger, la bibbia degli adolescenti disadattati d’oltreoceano.
Il portiere del Dakota gli urla: “Lo sai cos’hai fatto?”.
E lui, con il proverbiale sguardo fisso davanti a sé, replica imperterrito: “Ho appena sparato a John Lennon”.

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“LONE NUT” O “MANCHURIAN CANDIDATE”?
“Quando mi è passato davanti, ho sentito in testa una voce che mi ripeteva ‘Fallo, fallo, fallo’”, ha raccontato anni dopo alla BBC, dal carcere di Attica, il reo confesso Mark David Chapman, all’epoca 25enne. “Non ricordo di aver mirato”, ha aggiunto con la solita inespressività. “Devo averlo fatto, ma non me lo ricordo. Ho soltanto premuto il grilletto per cinque volte. Non ho provato alcuna emozione”.
Insomma, un ammiratore anonimo con più di qualche rotella fuori posto che, dopo essersi fatto autografare una copia di Double Fantasy l’ultimo album pubblicato in vita dall’ex-Beatle con sua moglie Yoko Ono, continua ad attendere il suo idolo sotto casa per rubargli, oltre alla vita, un pezzetto di fama. E forse anche per punirlo per aver tradito gli ideali della sua generazione, come ha scritto qualcuno.
Ma le motivazioni di Chapman, vere o presunte che siano, qui ci interessano poco. Tanto il succo della versione ufficiale non cambia: il tipo è uno svitato di brutto, un pazzo assassino solitario (o lone nut, come dicono negli States) come tanti altri che prima e dopo di lui, soprattutto nella storia a stelle e strisce, sono riusciti a far fuori dei pezzi da novanta (basti ricordare, tra le vittime più illustri, John e Robert Kennedy).
Ci interessa piuttosto il suo strano stato mentale, evidentemente lontano dalla normalità, che ha ben presto suscitato sospetti e varie “teorie cospiratorie”.
Tra le più “accreditate” c’è quella esposta dal giornalista e avvocato Fenton Bresler nel suo libro del 1990 intitolato Who Killed John Lennon? Secondo lui, Chapman era un soggetto programmato mentalmente dai servizi segreti controllati dalla destra conservatrice statunitense legata all’astro nascente di Ronald Reagan. Per i politici più conservatori, il celebre cantante, con le sue dichiarazioni politiche piuttosto esplicite, era un insidioso sovversivo. Non a caso dunque, nei primi anni Settanta, pare che il presidente Nixon in persona, dopo aver fatto di tutto per negare a Lennon la cittadinanza americana, avesse addirittura intenzione di deportarlo. Il corposo dossier dell’FBI su Lennon rivela che il celeberrimo musicista fu sottoposto a “costante sorveglianza” almeno dal 1969 al 1976. Il suo appartamento e il suo telefono erano sotto controllo, e i pedinamenti risultavano tutt’altro che infrequenti.
Secondo Bresler, la sorveglianza si allentò notevolmente durante la presidenza democratica di Jimmy Carter, ma riprese più intensa che mai alla fine del 1980, dopo l’elezione di Reagan coordinata dall’agente segreto William J. Casey, che l’anno successivo sarebbe stato messo a capo della CIA. Un “pericoloso estremista” come Lennon, appena tornato sulle scene con un nuovo album dopo cinque anni, non poteva più essere tollerato.

Per esporre la sua teoria cospiratoria, Bresler cita la giornalista radiofonica Mae Brussels, celebre per essersi occupata anche dell’assassinio di John Fitzgerald Kennedy e dello scandalo Watergate. La Brussels era convinta che si trattasse di una cospirazione. Reagan aveva appena vinto le elezioni, e il suo staff sapeva che soltanto Lennon avrebbe potuto portare un milione di persone nelle piazze a protestare contro le “nuove” politiche conservatrici.
Perciò agenti governativi avrebbero programmato mentalmente Chapman, usando proprio il romanzo di Salinger come “trigger” per innescare l’ordine, già scolpito nella sua mente, di uccidere l’ex Beatle, magari con una filastrocca tipo “John Lennon must die says the Catcher in the Rye”, o qualcosa del genere. Chapman sarebbe dunque una sorta di Manchurian Candidate, tanto per citare l’omonimo film sul controllo mentale (intitolato in italiano Va’ e uccidi) diretto nel 1962 da John Frankenheimer e “rivisitato” nel 2004 da Jonathan Demme.

Una teoria analoga a quella di Bresler, che prende le mosse dalle stesse dichiarazioni di Mae Brussels, è stata proposta dal giornalista investigativo americano Alex Constantine. Quest’ultimo, nel suo libro The Covert War Against Rock, denuncia il governo americano per aver condotto per decenni una vera e propria “guerra segreta” contro i musicisti rock più celebri e politicamente attivi, nei casi più estremi anche attraverso assassini programmati con tecniche di controllo mentale come Chapman.
Secondo Constantine, prima di essere ucciso Lennon sarebbe stato vittima di una complessa operazione segreta denominata “Project Walrus” (dal titolo della celebre canzone dei Beatles attribuita a John). Tenendo sotto controllo il musicista britannico e sua moglie Yoko Ono, anche con “cimici” piantate in casa, la CIA mirava a controllare, diffamare e screditare, insieme a loro, l’intero movimento pacifista che rappresentavano.

Sopra: La foto di John Lennon che autografa una copia del suo ultimo disco per Mark Chapman, l’uomo che solo poche ore dopo l’avrebbe ucciso. Questa foto, scattata da Paul Goresh la fatale sera dell’8 dicembre 1980, è stata pubblicata sulle prime pagine dei giornali dal giorno successivo. Ma a ben guardare, la figura di Chapman non sembra più un disegno che una foto? Di questa immagine esistono anche altre versioni sia in bianco e nero sia a colori (peraltro sempre con viraggi diversi) in cui Chapman appare un po’ più reale. Si tratta però di rielaborazioni successive delle foto originali di Goresh, scattate solo in bianco e nero.

Esistono altre “versioni cospiratorie” dell’omicidio di John Lennon, ma francamente appaiono troppo fragili e stravaganti per meritare citazioni approfondite. Basti dire che un paio di esse considerano Yoko Ono, mai troppo amata dai fans dei Beatles perché possibile causa della loro separazione, o addirittura Paul McCartney tra i “mandanti” del delitto, per motivi personali collegati a vendette e gelosie.

Un’altra invece, propugnata con convinzione da un certo Stephen Lightfoot, vede come mandanti sempre Nixon, Reagan e i loro apparati reazionari, ma differisce da quelle di Bresler e Constantine nella figura dell’esecutore, che secondo Lightfoot non sarebbe Chapman bensì… tenetevi forte… Stephen King! Si, proprio lui, il celebre scrittore… In effetti, Chapman somiglia abbastanza a King, e sarebbe stato scelto come sua “controfigura” per sviare i sospetti. Francamente, leggendo il materiale pubblicato sul sito di Lightfoot, LennonMurderTruth.com, i motivi del coinvolgimento di Stephen King non sono riuscito a capirli, ma magari acquistando per 5 dollari un libriccino apposito tutto si chiarisce, chissà… Non sarebbe un grosso investimento, ma per qualche motivo non me la sono sentita di affrontarlo…
In ogni caso, tutte le spiegazioni dell’omicidio di John Lennon, ufficiali o cospiratorie che siano, si fondano su un unico fatto considerato unanimemente incontrovertibile: l’ex-Beatle fu ucciso nella tarda serata di quel fatidico 8 dicembre 1980. Su questo fatto, si dirà, non ci piove.
E in effetti, per tanti anni non si è sentita neanche una goccia. Poi però, il 29 maggio del 2009, si comincia a percepire un possibile temporale in arrivo. In un cinema di Toronto, Canada, viene proiettato per la prima volta un film dal suggestivo titolo di… Let Him Be.
Voglio parlarvene un po’. I minacciosi nuvoloni potrebbero dissiparsi dopo qualche goccia, oppure provocare una vera e propria alluvione… Tenete comunque sottomano un ombrello, perché non si sa mai…

“LASCIATELO STARE” – APPUNTI SU UN FILM MISTERIOSO
Let Him Be (con evidente riferimento alla celebre canzone dei Beatles “Let It Be”) è un film di produzione e ambientazione canadese che pochi conoscono. E non potrebbe essere altrimenti, visto che, consultando la pagina che gli dedica l’Internet Movie Database, sembra sia stato proiettato soltanto in sale cinematografiche del Canada, e precisamente a Toronto e a Vancouver, tra la fine di maggio e i primi di giugno del 2009. Dopo un paio d’anni è stato pubblicato su un doppio DVD (uno per il film e un altro per il “Making of”), ma poi è stato ritirato quasi subito dalla grande distribuzione e attualmente non è acquistabile né su Amazon né su alcun altro grosso sito di ecommerce (a parte Ebay che, almeno fino a qualche tempo fa, ne vendeva una rara copia a 118 dollari).
Tra l’altro IMDB è l’unico sito importante a dedicare una pagina a questo film, di cui non c’è traccia, per esempio, né su MyMovies né su Wikipedia. Oltretutto, la pagina in questione contiene ben poche informazioni, nonché i link a soltanto due recensioni di lettori del sito e due di siti esterni (sarebbero tre, ma un link porta a una pagina che non esiste più).
Tutto dunque lascia pensare a un film talmente scadente e/o insignificante da poter sparire dalla circolazione dopo aver vissuto il proverbiale spazio d’un mattino. Strano, perché la trama appare invece piuttosto succulenta. In una vecchia videocamera del padre, un giovane studente di cinema canadese, Tim, scopre per caso il video di un uomo sulla sessantina che, oltre a cantare e suonare la chitarra come John Lennon, somiglia in tutto e per tutto all’ex-Beatle come avrebbe potuto essere se fosse sopravvissuto. Potrebbe trattarsi veramente di lui? Tim se lo chiede e cerca di trovare una risposta coinvolgendo la sua ragazza e compagna di corso, Kathleen (interpretata da Kathleen Munroe, l’unica attrice abbastanza nota del film), in un viaggio in una zona remota dell’Ontario alla ricerca, apparentemente folle, di un John Lennon che, sopravvissuto in qualche modo all’attentato, potrebbe essere ancora vivo…

Beh, questo mi sembra già abbastanza per stuzzicare la curiosità non solo dei milioni di fan di Lennon e dei Beatles, ma anche di chi, come me, non si è mai scaldato più di tanto per la pur leggendaria produzione musicale dei quattro di Liverpool.
Allora, non essendo possibile reperirlo attraverso i canali tradizionali, mi sono messo a cercare il film in rete, e ho scoperto che, oltre a guardarlo in streaming presso il sito shock share.com o a scaricarlo da qualche sito pirata (cosa che, essendo illegale, ovviamente non consiglio), è possibile acquistare sia il dvd del film sia il cd della colonna sonora, intitolato Abracadabra – Listen to the Picture, dal sito http://lethimbethemovie.com/. Si tratta di un sito molto interessante – contenente, tra l’altro, una quindicina di link ad altre recensioni del film – ma ovviamente poco conosciuto, che sfugge sia a molti motori di ricerca sia ai radar di Alexa, il principale strumento online per monitorare la popolarità dei siti web.
In ogni caso, quando sono riuscito a vederlo, il film ha confermato, anzi superato, le mie aspettative. Anche se è stato girato con pochi mezzi (ufficialmente è costato, sempre secondo IMDB, solo mezzo milione di dollari canadesi), Let Him Be è un finto documentario (o mockumentary, come si dice oltreoceano) godibilissimo che fino all’ultimo tiene lo spettatore col fiato sospeso, indeciso se credere o no a una premessa difficile da accettare. Ma anche se la storia non interessasse, varrebbe la pena di guardarlo soltanto per vedere e ascoltare questo Mark Staycer, il quale, con l’aspetto e la voce di John Lennon, canta non “Imagine” o altri vecchi successi, bensì delle nuove canzoni che sembrano in tutto e per tutto canzoni che Lennon potrebbe scrivere oggi, se fosse ancora vivo. Belle, tra l’altro, in particolare quella intitolata “I was there”, “Io c’ero”…
Insomma, sembra di trovarsi di fronte quantomeno a un potenziale commerciale notevole che, stranamente, nessuno ha saputo – o voluto – sfruttare a dovere. Nel tentativo di capire perché, ho cominciato a pormi domande simili a quelle del personaggio che dà il via alla ricerca del film. E come lui, ho cominciato a indagare anch’io…

SULLE TRACCE DI UN FANTASMA
La mia principale guida, in quest’indagine “ai confini dell’impossibile”, è stato Miles Williams Mathis, un illuminante autore americano di quelli che di solito vengono definiti “controversi” perché hanno il coraggio di sfidare le convinzioni e i luoghi comuni più radicati. Lui, tra l’altro, lo fa con argomenti molto convincenti in vari campi, dall’arte alla fisica. Qui però mi limiterò a segnalare il suo studio sul film Let Him Be, l’unico davvero approfondito esistente in rete, reperibile in lingua originale all’indirizzo http://mileswmathis.com/lennon.pdf
Essendo anche un pittore, Mathis compie una disamina particolarmente dettagliata, con tanto di fotografie a confronto, delle somiglianze davvero incredibili tra John Lennon e il suo “impersonatore” Mark Staycer. Cominciamo però con alcune notizie che ho trovato in rete su quest’ultimo. Quelle disponibili sul suo sito www.imaginelennon.com, tanto per cominciare, sono tutt’altro che dettagliate. La “bio” si concentra soprattutto sull’abilità di Staycer nell’imitare John Lennon, con l’autorevole commento, tra gli altri, della sorella di George Harrison, Louise: “Quando l’ho sentito, mi è sembrato che avessero messo su dei dischi di John Lennon”. Mmmm…
“Migliaia di fans entusiasti”, continua la bio di Staycer, “hanno acclamato Mark in teatri di tutto il mondo”  (in realtà il sito riporta, come sedi delle sue esibizioni soltanto teatri negli Stati Uniti, in Canada e in Giappone, oltre alla International Beatles Week di Liverpool), senza precisare quando esattamente questo misterioso “sosia” abbia cominciato a proporre dal vivo il suo spettacolo ImagineLennon, in cui, tra una canzone di Lennon o dei Beatles e l’altra, si produce in lunghi e divertenti monologhi (conditi spesso, tra l’altro, da ricordi degni del vero Lennon) in perfetto accento di Liverpool, pur essendo ufficialmente nato e cresciuto in Michigan, in una non meglio precisata “zona di Detroit”, e tuttora residente, con la famiglia, a Traverse City, a poco più di 300 km dalla storica capitale dell’industria automobilistica statunitense. Con ogni probabilità i suoi spettacoli sono cominciati nel 2002, anno a cui risale la prima intervista a Mark Staycer reperibile online, pubblicata sul Northern Express, il più diffuso settimanale del Michigan settentrionale. E questa è già, di per sé, una cosa un po’ strana. Perché mai uno come Staycer, appassionato collezionista dei Beatles sin dall’adolescenza, avrebbe atteso così tanto per venir fuori come sosia di John Lennon? Avrebbe potuto lasciar passare qualche anno dalla sua morte, questo sì. Magari cinque o dieci, ma perché mai addirittura ventidue? Tra l’altro, da più giovane sarebbe stato presumibilmente molto più somigliante a John… Forse troppo?

Sempre secondo la biografia sul sito ImagineLennon.com, oltre ad aver interpretato il personaggio di Noel Snow (così si chiama il sosia di John Lennon in Let Him Be) e ad essere stato finalista, nel 2007, di un programma di sosia di personaggi celebri intitolato “The Next Best Thing” sul canale televisivo americano ABC (in cui, nei panni di Lennon, è arrivato secondo dopo Trent Carlini/Elvis Presley), Staycer ha lavorato come “voce fuori campo” in non meglio specificati spot pubblicitari radiotelevisivi e cartoni animati ed è noto come uno dei principali collezionisti di memorabilia degli anni Sessanta e soprattutto dei Beatles.
Di lui, soprattutto in quest’ultima veste di collezionista, si parla nell’unica altra intervista reperibile online. Pubblicata nel 2004 dal Record-Eagle, il quotidiano di Traverse City, s’incentra proprio sulla collezione di quest’indigeno “sosia di John Lennon” (definito anche “studioso dei Beatles”), esposta solo in parte – perché addirittura troppo estesa per un’esposizione pubblica completa – presso la biblioteca locale.
L’articolo in questione, però, contiene informazioni non tutte convincenti. Tanto per cominciare, dice che Staycer è “in his 40s”, ossia ha tra i 41 e i 49 anni, e ricorda di aver assistito a dei concerti dal vivo dei Beatles nel 1964/65. Poiché il pezzo risale al 2004, ossia quarant’anni dopo il 1964, Staycer poteva avere all’epoca 9/10 anni al massimo. Un’età un po’ al di sotto di quella media dei fans dei Beatles, ma comunque plausibile o quasi.

Tuttavia il problema anagrafico si aggrava quando Staycer sostiene di aver cominciato a collezionare “Beatles memorabilia” nei primi anni Settanta, ossia in pratica da adolescente. Secondo Staycer, all’epoca la popolarità del gruppo era ai minimi storici e la gente dava via a poco gli album dei Beatles e altri oggetti da collezione che li riguardavano. Un’affermazione quantomeno discutibile, visto che la popolarità dei quattro di Liverpool subì forse solo nel 1966 un piccolo calo, seguito subito da una clamorosa impennata grazie all’uscita di Sgt. Pepper. Perciò sembra improbabile che nei primi anni Settanta un adolescente potesse acquistare rarità beatlesiane per pochi spiccioli.
Per di più, le rarità in possesso di Staycer sono davvero straordinarie e ragionevolmente costosissime, poiché comprendono, tra l’altro, lettere inedite di Lennon scritte dai suoi Dakota Apartments, il menu di un ristorante di New York firmato da tutti e quattro i Beatles durante il loro primo tour statunitense e addirittura… tenetevi forte… dei dischi d’oro del gruppo. Proprio così: Staycer possiede dei dischi d’oro originali dei Beatles! Acquistati anch’essi per quattro soldi a Detroit in un momento di scarsa popolarità del gruppo?
Come se non bastasse, pare che Staycer sia anche un collezionista di strumenti musicali appartenuti a John Lennon. In alcune sue esibizioni disponibili su YouTube si vede che dietro di lui ci sono almeno una decina di costosi modelli di chitarre acustiche degli anni Settanta/Ottanta. Anche nel film Let Him Be, quando le riprese si concentrano su dei brani cantati e suonati da Staycer e dalla sua band, vediamo sullo sfondo diversi strumenti pregiati. Il personaggio Noel Snow, per esempio, suona una Epiphone Casino proprio come John Lennon, mentre l’altro chitarrista della band suona una Gibson ES330. Certo, sono modelli acquistabili ancora oggi per meno di mille euro. Ma non altrettanto si può dire di altri strumenti suonati nel corso del film, come un pianoforte a coda di legno pregiato e una tastiera vintage Crumar Roadrunner II, risalente agli anni Ottanta ed estremamente rara.
E i mixer analogici d’epoca impilati l’uno sull’altro? Si dirà che servono a dare al film una maggiore impressione di autenticità. Ma nell’intervista reperibile presso  http://www.examiner.com/article/let-him-be-interview-with-movie-s-creator-peter-mcnamee-reveals-inspiration (la più dettagliata di due soltanto pubblicate online, e corredata dall’unica foto circolante del personaggio), McNamee dichiara di aver avuto a disposizione per il film un budget talmente basso da non essersi potuto permettere neppure di pagare le spese di viaggio di Staycer, figuriamoci delle sofisticate e costose apparecchiature d’epoca.
Beh, i mixer e gli strumenti potrebbero essere di McNamee, visto che questi sostiene di essere stato un produttore musicale negli anni Settanta e Ottanta. Peccato però che online non si trovino conferme di quest’attività. Lui stesso, sul suo profilo LinkedIn, dice soltanto di essere “scrittore, produttore e regista di spot pubblicitari, campagne promozionali e comunicazioni aziendali”. Tutte cose piuttosto generiche. Sembra che l’unica cosa specifica che il misterioso tizio abbia mai fatto in vita sua sia il film di cui stiamo parlando.

Di Let Him Be, tra l’altro, McNamee avrebbe composto anche le nuove canzoni, in tutto e per tutto simili a quelle che Lennon avrebbe potuto scrivere nel ventunesimo secolo. Un altro talento non sfruttato a dovere da questo strano regista, produttore musicale, compositore e… forse anche cantante. Sì, perché nella suddetta intervista McNamee dichiara che l’idea di realizzare il film è nata proprio da delle canzoni da lui scritte.

“Quando le ho fatte ascoltare a un mio amico e musicista”, racconta, “lui mi ha detto: ‘Dove hai trovato questi demo di Lennon? Non li ho mai sentiti prima!”

Un momento… Come è possibile che l’amico musicista abbia scambiato le canzoni composte da McNamee per dei vecchi demo di John Lennon? Erano già cantate da Mark Staycer? No, perché McNamee dichiara di aver scovato Staycer online dopo aver deciso di realizzare il film (a tal proposito, Staycer dichiara di essere stato “l’unica scelta”, chissà perché….). E allora cosa dobbiamo pensare? Che anche McNamee sappia cantare esattamente come John Lennon, tanto da poter essere scambiato per lui proprio come Staycer? E da un musicista, per giunta? Evito di stimare quanto possa risultare improbabile un’eventualità del genere…
La spiegazione offerta da Mathis, per quanto apparentemente incredibile, appare la più logica, ossia che McNamee e Staycer siano la stessa persona, ovvero… John Lennon!
D’altronde, torno a dirlo, le corrispondenze tra Staycer e Lennon sono davvero strabilianti. Innanzitutto, imitatore e imitato sembrano avere più o meno la stessa età. Lennon avrebbe avuto 67 anni nel 2007, quando è stato girato il film. Del personaggio di Noel Snow si dice che ne abbia 65, e in effetti sono quelli che dimostra, anche se ufficialmente Staycer ne avrebbe qualcuno di meno. E poi, oltre a cantare proprio come l’ex-Beatle, imitando alla perfezione persino l’accento di Liverpool (pur essendo nato e avendo vissuto nel Michigan) e suonando contemporaneamente la chitarra o le tastiere, il buon Mark gli somiglia in modo impressionante. Non credo sia facile per nessuno distinguere le sue foto sulla home page del sito ImagineLennon.com da quelle del vero Lennon.
 

Sopra: Mark Staycer… o John Lennon?

Esistono dei bravi imitatori di personaggi celebri, certo, ma quanti ne conoscete che abbiano il loro stesso aspetto anche senza trucchi e costumi di scena?Al contrario di tutti gli altri imitatori, infatti, Staycer sembra aver bisogno di truccarsi per somigliare di meno a John Lennon, non per somigliargli di più. Come nelle sue esibizioni (reperibili in abbondanza su YouTube), in cui indossa un’assurda parrucca bionda e in alcune foto in cui appare con un grosso cappello e gli occhiali scuri, quasi per nascondersi come fanno le vere rockstar. Se nella vita reale è davvero diverso da John Lennon, perché non esistono sue foto “al naturale” che lo dimostrino?

Questo trovo sia un altro particolare strano: in tutte le sue apparizioni pubbliche che ho potuto visionare, film compreso, Staycer non sembra mai recitare, né fare qualcosa per atteggiarsi a John Lennon. Si muove con la naturale ritrosia di una celebrità restia a farsi notare troppo, non come un sosia desideroso di mettersi in mostra. E in almeno una scena di Let Him Be, in cui si trova a interagire con un personaggio che senz’altro non è un attore, l’atteggiamento di quest’ultimo sembra significativo. Quando interviene per interrompere una jam session troppo rumorosa per i vicini, il vecchio sceriffo della cittadina canadese in cui è ambientato il film guarda Noel Snow estasiato e un po’ imbarazzato, proprio come un vero fan di fronte al suo idolo di gioventù…
E poi c’è la questione degli strani nomi del presunto sosia e del personaggio che interpreta. Dalle ricerche compiute su siti specializzati come CheckMate e Intelius da Mathis (e da me verificate) risulta esserci un unico Mark Staycer in tutti gli Stati Uniti. Ma si tratta di uno pseudonimo, perché il vero cognome è Stytzer, e questo Mark Stytzer non sembra essere il sosia di Lennon, anche perché avrebbe avuto solo 52 anni nel 2007. In ogni caso, Staycer è un cognome inesistente nella realtà. Secondo Mathis si tratterebbe di un riferimento parziale al cognome da nubile della madre di John, Julia Stanley. Ma sembra piuttosto un anagramma… In effetti, le stesse lettere compongono la parola sectary, ovvero settario, affiliato a una setta. Boh…

Da un possibile gioco di parole prende forma anche il nome di un altro personaggio del film, Stanley Fields, il cugino di Noel Snow. Torna il nome Stanley, affiancato da Fields come in Strawberry Fields… D’altronde a John Lennon i giochi di parole piacevano, come dimostra anche l’etichetta discografica in comproprietà con la moglie, la LENONO. Tutte le lettere di quest’ultima parola, inoltre, sono contenute nel nome del personaggio interpretato da Staycer nel film: Noel Snow. Noël vuol dire Natale in francese, snow è neve… In questo senso, Staycer potrebbe essere un personaggio inesistente come Babbo Natale… Per di più, se la lettura di Mathis fosse corretta, la vicenda Lennon potrebbe essere definita uno “snow job”, ovvero un tentativo di abbindolare il pubblico…

Un altro particolare molto sospetto è l’accento di Staycer. Nel film come nelle sue esibizioni, questi si rivela in grado di imitare alla perfezione l’accento di Liverpool, come abbiamo già detto. Anzi, non sembra neppure un’imitazione: è proprio l’accento di Liverpool, identico a quello di Lennon. A suonare imitato, piuttosto, è l’accento americano, peraltro abbastanza variabile, che Staycer sfoggia nelle rare interviste, tipo quella contenuta nel video della prima del film (ancora disponibile su YouTube all’indirizzo https://www.youtube.com/watch?v=_QBzclDPBsg). È un accento abbastanza convincente, ma non del tutto, secondo me, e soprattutto secondo Miles Mathis e altri americani a cui l’ho fatto ascoltare.

IL NASO RIVELATORE
Se tutti questi indizi non bastassero, ho lasciato per ultimi alcuni dettagli decisivi della somiglianza fisica tra Staycer e Lennon. Il più convincente è il naso. Sembra che, nel corso degli anni, John si sia sottoposto a degli interventi di chirurgia estetica, per esempio per rimuovere un neo al centro della fronte e per farsi rifare i denti, senza però toccare mai il suo notevole naso, lungo e un po’ incurvato verso destra, con due rari e davvero caratteristici rigonfiamenti sopra le narici. Naturalmente, il nostro Staycer ha lo stesso, raro naso, rigonfiamenti compresi.
 

Il naso di Lennon negli anni Settanta (in alto) e quello di Staycer nel 2009 (qui sopra). Stessa forma, stessi rigonfiamenti.

E poi la forma delle dita, e persino quella delle vene sulla mano destra sembrano corrispondere.

A sinistra, John Lennon; a destra, Mark Staycer. Somiglianza del viso a parte, le vene della mano destra sembrano formare lo stesso disegno.

Come pure i denti, con lo stesso molare mancante… Per non parlare delle orecchie, che sono quasi identiche, a parte i lobi più lunghi (ma si sa che i lobi delle orecchie, soprattutto negli uomini, si allungano con l’età).
Mentre di solito è abbastanza facile trovare, anche tra persone che si somigliano molto, almeno una caratteristica saliente che le distingua in modo incontrovertibile, tutti i tratti somatici di Staycer sono abbastanza somiglianti a Lennon da destare sospetti, e alcuni corrispondono addirittura in modo inquietante.
In conclusione, riepiloghiamo anche le altre affinità: stessa voce, stesso accento, stesso modo di cantare e di suonare gli stessi strumenti. E se aggiungiamo al quadro Peter McNamee, altro possibile alter ego di Lennon, abbiamo anche lo stesso stile compositivo.
Insomma, da qualunque aspetto si esamini la faccenda, Mark Staycer può essere John Lennon. A parte il fatto, ovviamente, che l’ex-Beatle viene considerato morto da 35 anni…
Tuttavia, in questo caso dubitare non è soltanto ragionevole, ma quasi obbligatorio, direi.

THE SHOW MUST GO ON
A questo punto, possiamo cominciare a prendere in considerazione possibili spiegazioni alternative della scomparsa di Lennon dalla scena mondiale.
La prima e più facile, ma non più probabile secondo me, è che l’ex Beatle sia sopravvissuto miracolosamente all’assassinio e che, per proteggerlo da altri pericoli, si sia deciso di farlo credere morto.
La seconda si ricollega alle teorie complottiste secondo cui Lennon era perseguitato dai servizi segreti americani. Questi ultimi, come alternativa all’uccisione, potrebbero avergli offerto l’opportunità di ritirarsi e sparire dalla circolazione nel modo più drastico, orchestrando un finto omicidio con un attore come Chapman nel ruolo dell’omicida.
Si dirà che ipotesi analoghe sono state avanzate anche a proposito di altre celebrità prematuramente scomparse, tipo Elvis Presley o Michael Jackson. In quei casi, però, non sono spuntati fuori all’improvviso dei sosia altrettanto somiglianti, o almeno non che io sappia. E comunque quella di Lennon potrebbe non essere l’unica morte falsificata dai media, chissà… Se scopriste che qualcuno vi ha mentito una volta, vi sentireste pronti a scommettere che sia stata l’unica?
In alternativa, John Lennon potrebbe essersi stancato della propria celebrità e aver deciso una drastica uscita di scena a effetto. Per riuscire a metterla in atto in modo tanto convincente, però, l’ex Beatle avrebbe avuto bisogno comunque della complicità dei servizi segreti e delle loro capacità di controllo sui mass-media. Questo rafforzerebbe la tesi di chi, come l’ex agente segreto britannico John Coleman (autore, tra l’altro, di un vangelo del complottismo come The Conspirators Hierarchy: The Committee of 300) ha sempre sostenuto che i Beatles, lungi dal combattere il sistema, ne fossero in realtà degli strumenti per controllare mentalmente le nuove generazioni attraverso la musica rock, l’uso di droghe e il misticismo orientale.
In ogni caso, perché mai Lennon, dopo essere sparito, avrebbe voluto rischiare di far saltare tutto tornando a esibirsi in pubblico e realizzando un film? Beh, può darsi che, dopo tanti anni di inattività, abbia provato di nuovo il desiderio di calcare il palcoscenico, sia pure su scala limitata, trasformandosi paradossalmente in un imitatore di se stesso.
E magari più di qualcuno dal 2002, vedendolo esibirsi nei panni di Mark Staycer, potrebbe aver avanzato dei sospetti sulla sua reale identità. In questo senso, il film sarebbe stato realizzato per limitare i danni, giocando sui legittimi sospetti per ridicolizzarli un po’.
Forse il gioco, in tal caso, non è riuscito. E poiché rischiava di generare maggiori sospetti su scala più vasta, il film è stato distribuito col freno a mano tirato, prima di essere praticamente tolto dal commercio.
Comunque sia, il titolo mi sembra significativo: “Let Him Be”, “Lasciatelo stare”. Forse John Lennon è ancora vivo ma vuole o deve continuare a far credere di essere morto, restando nel semi-anonimato di un imitatore di rockstar come tanti.
In quest’ottica, trovo divertente ciò che, alla fine del suo articolo, Miles Mathis propone ai fan di Lennon eventualmente convinti che il loro idolo sia ancora in vita e si nasconda dietro la figura del sosia. Evitate di mettervi sulle tracce di Staycer, perché se la cosa attirasse troppo l’attenzione potrebbero decidere di far sparire anche lui in qualche modo, pur di non riaprire l’intera vicenda. Provate piuttosto a capovolgere la burla accorrendo a decine di migliaia ai suoi concerti. Anche se nessuno si mettesse a chiamarlo “John”, sarebbe ugualmente chiaro il motivo di una presenza tanto massiccia.
Io, dal canto mio, non posso che associarmi alla proposta suggerendo la prima tournée italiana di Mark Staycer. Si troverà qualcuno disposto a organizzarla? Nel caso, può darsi che, età e acciacchi permettendo, John decida di accettare. Ooops, volevo dire Mark, è ovvio…

© 2015 Giampiero Cara
Titolo originale: John Lennon è morto… Viva John Lennon!

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