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I funghi sacri: la ricerca di un senso

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Un ispirato banchiere newyorkese ha dedicato gran parte della propria vita all’etnomicologia, svelando le pratiche sciamaniche dell’ingerire funghi con proprietà psichedeliche e spirituali e vivendo personalmente le visioni mistiche.

La psilocibina: un potente enteogeno

La psilocibina, indicata anche come 4-PO-DMT, è un profarmaco del classico composto allucinogeno psilocina, o 4-HO-DMT (4-idrossi-dimetiltriptamina), il metabolita attivo della psilocibina, responsabile degli effetti psicoattivi della droga. Entrambe le sostanze fanno parte delle classi dell’indolo e della triptamina.
La psilocibina è prodotta da oltre 200 specie di funghi, in particolare quelli del genere Psilocybe, come P. cubensis, P. semilanceata e P. cyanescens, ed è stato isolato anche in una decina di altri generi, noti collettivamente come funghi allucinogeni, ma anche “funghi sacri” o “funghi magici”. Il possesso, e in qualche caso l’uso, di psilocibina o psilocina è illegale nella maggior parte dei paesi del mondo.
I sostenitori del suo uso lo considerano un enteogeno e uno strumento che coadiuva diversi tipi di pratiche trascendentali, come meditazione, psiconautica e psicoterapia psichedelica. L’intensità e la durata degli effetti enteogeni dei funghi con psilocibina sono altamente variabili, a seconda della specie o della cultivar del fungo, del dosaggio, della fisiologia personale e della situazione del consumo. Una volta ingerita, la psilocibina viene rapidamente metabolizzata in psilocina, che agisce quindi da agonista parziale dei recettori della serotonina 5-HT2A e 5-HT1A nel cervello. Gli effetti psicotropi della psilocibina durano tipicamente da tre a otto ore; tuttavia, ai soggetti che hanno assunto la sostanza il tempo potrebbe apparire dilatato, in quanto la droga può distorcere la percezione temporale. La psilocibina ha una bassa tossicità, e non sono state documentate dosi letali per la sua ingestione.
(Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/Psilocybin)

Un terreno sacro

Il 13 maggio 1957, sulle forbite pagine della rivista Life compariva un articolo pionieristico che avrebbe cambiato profondamente l’atteggiamento occidentale verso il lato più selvaggio del mondo naturale. Si trattava del primo resoconto scritto in prima persona da un occidentale in cui si descrivevano gli straordinari effetti indotti sulla psiche da un fungo che i nativi Messicani divinizzavano e veneravano ritualmente. Il consumo del fungo sacro messicano permetteva di instaurare un contatto con gli dèi, sperimentare visioni intense e acquisire conoscenze mistiche. O, per lo meno, queste erano le stravaganti convinzioni dei nativi nei confronti di questo fungo, così come le riportavano gli antropologi durante la prima metà del XX secolo.

Nell’epoca precolombiana, il fungo misterioso era noto agli Aztechi come “la carne di Dio”, per denotarne il potere divino. Una tale venerazione assicurò al fungo di continuare ad avere una valenza sacra tra i nativi malgrado la violenta rivoluzione culturale imposta dalla Conquista spagnola nel XVI secolo. Così, nonostante la cultura azteca, un tempo florida, fosse ormai distrutta, il fungo sacro continuò a essere usato in Messico e nei dintorni durante tutto il periodo dell’occupazione spagnola. Eppure, per quanto gli effetti di questa particolare specie fungina fossero leggendari, fu solo a metà del XX secolo che un esploratore straniero consumò per la prima volta il fungo verificandone il presunto potenziale spirituale.
Le ampie conoscenze  riguardanti il fungo sacro, trasmesse soltanto oralmente dai tempi della Conquista spagnola, erano riposte principalmente nelle mani di gelosi custodi come gli sciamani o i guaritori nativi, restii a svelare i loro segreti botanici ai forestieri. Temevano, e li si può forse giustificare, che se un bianco inaffidabile avesse goduto di una piena ammissione al mistero vivente del fungo sacro, il suo potere soprannaturale sarebbe diminuito o sarebbe stato profanato. Perciò, nel 1957, l’articolo di Life in cui veniva esposto apertamente il segreto del fungo simbolizzò lo scavalcamento dell’Occidente di un sistema di sicurezza culturale che esisteva da tempo immemorabile. Il fungo sacro era stato strappato di forza dalla sua nicchia sciamanica circoscritta e ora veniva presentato al mondo occidentale sotto forma di un testo stampato con diffusione di massa, con fotografie a colori e disegni dei vari esemplari.

Nonostante l’esposizione agli sguardi curiosi dell’Occidente, lo status del fungo messicano restò più nobile e seducentemente etereo che mai: addirittura di più da quando la psiche occidentale ha conosciuto lo stupore e la meraviglia dei suoi effetti visionari già noti agli autoctoni Messicani. Nei decenni seguenti, la nube incantatrice del fungo psichedelico si sarebbe espansa ben oltre il Messico, estendendo infine la sua magica influenza fino all’Europa, ma, nella fase iniziale della sua improvvisa notorietà, lo strano fungo restò un fenomeno puramente messicano.
Sulla copertina di quella promettente edizione della rivista Life, il titolo diceva semplicemente

La scoperta di funghi che causano strane visioni”,

un invito piuttosto insolito da parte di una rivista tradizionalmente così conservatrice. L’articolo era inserito nella serie “Le grandi avventure” di Life, ed era scritto da R. Gordon Wasson, vicepresidente di una società bancaria di Wall Street che, assistito dalla moglie Valentina, aveva dedicato il tempo libero di 30 anni a una ricerca che diede vita a una nuova disciplina scientifica: l’etnomicologia, ovvero lo studio dell’uso culturale e storico dei funghi.

L’etnomicologia è decisamente specializzata e a prima vista lontanissima dalle faccende della cultura moderna. È stato solo attraverso la dedizione dei Wasson – che essendo venuti a conoscenza del fungo sacro messicano partirono alla sua ricerca per sperimentarlo personalmente – che la psilocibina (il componente attivo del fungo, allora senza nome) è giunta all’attenzione dell’Occidente. Dopo la scoperta dei funghi sacri messicani, la scienza etnomicologica acquisì all’improvviso un carattere distintamente mistico, che sfociava nel campo della religione e della psicologia. Inoltre fornì un nuovo impeto all’eterna ricerca umana dell’accesso a una conoscenza trascendentale, e non c’è alcun dubbio che la scoperta di Wasson e la vivida descrizione degli effetti della psilocibina siano stati cruciali nel generare l’ondata culturale di sperimentazione psichedelica che giunse di lì a poco, negli anni Sessanta. Oltretutto, il fungo si presenta come la chiave per svelare i segreti della coscienza e i tesori nascosti della Natura. Teofania, mente e realtà: queste tre sfere di assoluta profondità trovano tutte in qualche modo un riscontro nell’uso del fungo.
Ma prima di addentrarsi in queste profondità, chi era questo Wasson, questo finanziere-avventuriero? E come è arrivato a penetrare la dimensione psichedelica segreta della Terra? Come mai aveva portato all’attenzione del mondo occidentale la notizia di un fungo sacro? In effetti, l’articolo di Life era stato pubblicato in coincidenza con l’uscita della sua monumentale opera in due volumi Mushrooms, Russia and History, scritta insieme alla moglie Valentina. Quest’opera rivela in tutta la sua portata l’interesse di lunga data di Wasson verso l’uso culturale dei funghi e come è finalmente giunto a quel varco della percezione che reca il nome di “psilocibina”.
Con sole 512 copie lavorate a mano, raffinate nella stampa e nella rilegatura, Mushrooms, Russia and History [Pantheon, New York, 1957] costituisce un raro oggetto d’arte. Infatti, alla fine degli anni Settanta il suo valore era arrivato a circa 2.500 dollari: il libro più prezioso dell’epoca in cui visse l’autore. È un libro scritto con grande cura, in uno stile vivace che trasmette tutto l’amore che avevano i Wasson per l’etnomicologia. Rappresenta un compendio delle conoscenze accumulate nei loro lunghi studi sul ruolo di varie specie di funghi in diverse culture, e culmina con la scoperta delle cerimonie del fungo sacro tuttora celebrate in Messico: una scoperta di importanza tale da meritare ulteriore visibilità nelle più accessibili pagine della rivista Life.

L’inizio di un percorso

L’evento che mise originariamente i Wasson sulla strada della loro crociata dei funghi era semplice, quasi banale, ma sufficiente a condurli verso un’inestimabile ricerca che sarebbe durata tre decenni. I Wasson si sposarono nel 1927, e un giorno, durante la luna di miele, decisero di fare una passeggiata tra le Catskill Mountains di New York. A un certo punto Valentina, che era nata in Russia, si fermò a raccogliere dei funghi selvatici, felice della scoperta fortuita. Suo marito, invece, fedele al suo retaggio anglosassone, era sbigottito dall’avido interesse della moglie per quegli obbrobri fungini letali, e specialmente dal fatto che intendesse cucinarli e mangiarli per cena. Dopotutto, non si diceva forse di evitare come la peste tutti questi velenosi miceti con il cappello? Sempre più sgomento, R. Gordon Wasson immaginava che il mattino dopo si sarebbe svegliato di fianco a un cadavere al posto di sua moglie.
Questa differenza marcata e radicata nei loro atteggiamenti verso le qualità culinarie dei funghi li portò a sospettare che esistesse proprio una divergenza culturale tra popoli micofobici (che detestavano decisamente i funghi, come gli anglosassoni) e micofili (inguaribili aficionados dei funghi come i russi). Inoltre, i Wasson ragionarono che doveva esserci una ragione storica per tradizioni così diametralmente opposte, non tanto dovute ad aspetti come la disponibilità dell’alimento, ma piuttosto a fattori culturali e psicologici. Iniziò così la ricerca accademica dei Wasson volta a esplorare questa curiosa anomalia culturale. Fin dall’inizio, entrambi sospettarono che una delle cause dovesse essere la religione, e la loro intuizione si rivelò corretta.

Le ricerche svelarono ben presto come nella tradizione culturale siberiana fosse presente il fungo Amanita muscaria, detto anche ovolo malefico, quello straordinario fungo autunnale rosso con i puntini bianchi che si trova in tutto l’emisfero boreale e viene spesso rappresentato nelle illustrazioni che adornano le pagine dei libri per bambini. Addirittura, qualcuno ha suggerito che Lewis Carroll conoscesse l’uso siberiano dell’ovolo malefico e fosse stato ispirato da queste informazioni usandole con grande effetto nel suo libro Alice nel Paese delle Meraviglie, in cui, come ricorderete, Alice assaggia un fungo che altera la sua statura.
Per l’azione psicoattiva, l’amanita muscaria è solo lontanamente seconda al fungo psilocybe, ma è potenzialmente allucinogena grazie alla presenza di un alcaloide chiamato muscimolo. Nonostante l’inferiorità enteogena del muscimolo rispetto alla psilocibina, il ruolo culturale e l’uso dell’amanita muscaria tra gli sciamani siberiani sono indiscussi, e i Wasson scoprirono una ricchissima letteratura a testimonianza di questo. L’amanita muscaria si rivelò un filo conduttore che riportava a una religione primitiva, come inizialmente avevano immaginato i Wasson, e presto si resero conto che i funghi psicoattivi erano un elemento tutt’altro che secondario nella storia culturale.

Echi di ritmi sciamanici

Fin dai tempi dello zar Pietro il Grande (1672-1725), la penisola della Kamchatka, la parte più orientale della Siberia russa, era meta di viaggiatori, esiliati politici, esploratori, mercanti di pellicce e antropologi. Tutti portavano la testimonianza dei pastori di renne nomadi che durante un rituale ingerivano i funghi di amanita muscaria (la loro unica sostanza inebriante) per ricercare un contatto con la dimensione spirituale. La stessa parola “sciamano” deriva dal tunguso siberiano saman, che significa “indovino”, “mago”, “dottore”, “creatore di estasi”, “mediatore tra il mondo umano e il mondo soprannaturale”.
Il consumatore siberiano di amanita muscaria faceva essiccare i funghi al sole e poi li ingeriva da soli o mescolati a latte o acqua. Se preso da solo, il fungo veniva prima inumidito nella bocca di una donna, la quale produceva una sorta di pastiglia che poi lo sciamano ingeriva.
Gli effetti del consumo di questo fungo comprendevano convulsioni, delirio, allucinazioni visive, distorsione percettiva delle dimensioni, sensazione di forza sovrumana e senso di contatto con una dimensione divina: quest’ultimo aspetto era il più importante per lo sciamano praticante, la cui principale funzione era accedere al regno spirituale per ottenere un sapere ultraterreno finalizzato al benessere della sua tribù.
L’aspetto più bizzarro di questa tradizione sciamanica, però, era l’abitudine di bere l’urina. In qualche modo, i Siberiani avevano scoperto che l’ingrediente attivo del fungo passava attraverso il corpo senza essere metabolizzato, e che bere dell’urina “corretta” con l’amanita muscaria poteva prolungare l’intossicazione. È possibile che i Siberiani abbiano appreso questa stranezza osservando le renne, che notoriamente erano ghiotte esse stesse di questi funghi e oltretutto avevano un’uguale passione per l’urina umana, tanto che i pastori di renne siberiani consideravano pericoloso urinare all’aperto!
La pratica, piuttosto ripugnante, di bere urina psicoattiva acquisì un grande significato nell’opera successiva di Wasson degli anni Sessanta, in quanto il consumo dell’urina era menzionato anche nel Rg-Veda, le antiche scritture religiose dell’India. Scritto in sanscrito e derivato dalle tradizioni orali degli Indoeuropei migrati nella Valle dell’Indo circa 3.500 anni fa, il Rg-Veda fu di grande influenza nello sviluppo dell’Induismo. Dei 1.000 inni sacri del Rg-Veda, oltre 100 sono dedicati unicamente alla pianta divina Soma e ai suoi spettacolari effetti psicologici. Dato che l’allusione al bere l’urina è chiara in questi inni che divinizzano Soma, Wasson giunse alla conclusione che questo sacro Soma venerato dagli antichi Indoeuropei dovesse essere il fungo amanita muscaria.

Funghi leggendari

L’uso sciamanico dei funghi di amanita muscaria da parte dei Siberiani primitivi è apparentemente molto antico, dato che varie leggende parlano delle sue origini mitiche. Per esempio, una leggenda dei Coriachi narra di un eroe di nome Grande Corvo che riusciva a ottenere una forza immensa mangiando gli spiriti che gli venivano dati dal dio Vahiyinin, il dio dell’esistenza. Sputando sulla terra, Vahiyinin aveva fatto crescere gli spiriti necessari, che erano le amanite muscarie, in grado di offrire forza e saggezza soprannaturali.
I Wasson teorizzarono che fosse stata questa arcaica pratica sciamanica di ingestione dell’amanita muscaria, tanto ben rappresentata nel folklore e nelle mitologie, a creare i tabù micofobici pre-cristiani contro il consumo di funghi, evidentemente ancora presenti tra molti dei popoli attorno alle coste del Mare del Nord. In altre parole, dato che l’amanita muscaria era usata principalmente dagli sciamani in un contesto rituale, è concepibile che si fossero sviluppate credenze e tabù culturali per evitare che altri utilizzassero irresponsabilmente il suo strano potere. Oppure, è altrettanto plausibile che, attraverso migrazioni e invasioni, si fossero diffuse false notizie sulla natura degli effetti del fungo. Attraverso tipici meccanismi culturali di questo genere, il fungo psicoattivo amanita muscaria raggiunse gradualmente una reputazione mistica, acquisendo l’immortalità culturale grazie alle leggende tramandate di generazione in generazione.

L’uso sciamanico di questo fungo varcò i confini russi, e se alcuni popoli gradualmente iniziarono a guardarlo con sdegno, altri ne accoglievano gli effetti. Il popolo ariano che migrò nella Valle dell’Indo 3.500 anni fa non si limitò a portare con sé il culto religioso di Soma: in seguito, intorno all’anno 1000 a.C., si ritrovano rappresentazioni artistiche di funghi su oggetti dell’Età del bronzo in Svezia, Norvegia e Danimarca. Su alcuni artefatti di bronzo, ad esempio rasoi, si trovano motivi a fungo (generalmente delle stilizzate sezioni trasversali di fungo) e il modo in cui sono rappresentati fa pensare che il fungo fosse oggetto di venerazione. Poiché l’amanita muscaria abbonda in Scandinavia, si ritiene che questi motivi rappresentino un culto simile a quello siberiano.


Sopra: pietre-runiche associate al culto di Odino, a Lärbro, Gotland, Svezia (da Nichols M., 2000, L’agarico muscario e l’antica religione scandinava / The fly-agaric and the early Scandinavian religion, Eleusis, n.s., vol. 4) [Fonte]


Al di là del folklore siberiano, molti racconti popolari europei testimoniano l’enigma dell’amanita muscaria, facendo eco a distanti intrecci culturali del passato. Il folklore della regione un tempo nota come Yugoslavia riporta le origini soprannaturali del fungo all’epoca pre-Cristiana del politeismo della Natura. Una leggenda racconta che Votan, capo di tutti gli dei nonché potente mago e guaritore, viaggiava per la campagna sul suo cavallo magico, quando apparvero dei demoni che iniziarono a inseguirlo. Nella fuga, il suo cavallo galoppava così veloce che gli uscirono dalla bocca delle gocce di schiuma insanguinata. Là dove cadeva la schiuma insanguinata, nascevano delle amanite muscarie. Gli Ungheresi un tempo chiamavano l’amanita muscaria boland gamba o “fungo matto”. Gli Austriaci e i Tedeschi parlavano di “fungo dei pazzi”, tanto da aver coniato l’espressione “Hai mangiato i funghi dei pazzi?”, da dire a qualcuno che si comportava in modo strano. I Wasson analizzarono anche la vasta gamma di parole utilizzate per descrivere i funghi nelle varie culture e le metafore nascoste in tali parole: vocaboli come l’inglese “toadstool”, ad esempio, associano il fungo al rospo, una creatura molto diffamata nella mitologia e nel folklore. I Wasson inoltre ipotizzarono che la “mosca” presente nell’epiteto “muscaria” non facesse riferimento a una presunta proprietà insetticida, ma piuttosto fosse un modo per suscitare timore verso il fungo misterioso evocando l’insetto comunemente associato al potere demoniaco (Belzebù è il “Signore delle Mosche”). In breve, i Wasson scoprirono una vasta diffusione culturale di leggende sui funghi, che indicavano un’origine comune. Ed era molto probabile che l’istigatore potesse essere il fungo psicoattivo amanita muscaria.

Indizi di un fungo sacro messicano

Nel 1952, un conoscente dei Wasson, il noto poeta e storico Robert Graves, scrisse loro una lettera informandoli di un presunto culto di un fungo segreto ancora praticato in Messico. Graves allegò alla lettera un ritaglio da un giornale canadese per farmacisti in cui si discutevano le scoperte fatte anni prima da Richard Evans Schultes. Da qui trapelava che Schultes, uno dei maggiori etnobotanici al mondo, affiliato con Harvard, avesse identificato nel 1938 una specie di fungo Panaeolus come il fungo sacro rituale che si diceva fosse impiegato dagli Indiani del Messico. All’epoca, si trattava dell’unica specie enteogena identificata da Schultes. Tuttavia, anche se qualche europeo aveva già assistito a una cerimonia del fungo dei nativi messicani, a nessun estraneo era mai stato permesso di consumare il fungo stesso. Questo è significativo, perché senza aver provato personalmente l’esperienza di assumere il fungo con la psilocibina, i suoi effetti si possono solo dedurre, dunque le prime osservazioni antropologiche non suscitarono grande interesse. Quando i Wasson appresero queste affascinanti informazioni, armati delle loro vaste conoscenze sulla storia e le leggende dell’amanita muscaria, non poterono che cogliere al balzo gli spunti investigativi di Graves e concentrare la loro attenzione sul Messico. Se le cerimonie con i funghi venivano ancora praticate, sarebbero stati testimoni, e non solo attraverso pagine di storia, dell’uso sciamanico dei funghi.
 

Grazie a conoscenti comuni, i Wasson iniziarono ben presto un avido scambio epistolare con una certa Eunice Pike, studentessa di linguistica americana e traduttrice della Bibbia (in altre parole, una missionaria) che viveva da oltre 15 anni presso gli Indiani Mazatec nello Huautla, in Messico. Avendo oramai familiarità con i costumi e le credenze legati al fungo sacro, era più che felice di condividere ciò che sapeva con i Wasson.
La Pike informò i Wasson che un ragazzo indiano parlava del fungo come di un dono di Gesù, non meno importante del sangue di Cristo. Gli Indiani dicevano anche che il fungo aiutava “i buoni”, ma uccideva o faceva impazzire “i cattivi”. Oltretutto, erano certi che Gesù parlasse con loro mentre erano sotto l’effetto del fungo. Tutti gli interlocutori della Pike concordavano nel dire che grazie al fungo si potesse osservare il Paradiso. Oltre a evidenziare l’integrazione che stava avvenendo tra la fede cristiana e la cultura autoctona, le parole degli Indiani indicavano che il fungo aveva un effetto psicologico potentissimo, in grado di indurre un’alterazione radicale della coscienza, aspetto ancora relativamente nuovo per la scienza occidentale.
Era anche chiaro che per lo sciamano fosse normale mangiare il fungo per conto di qualcun altro, di solito per guarirlo, in quanto questa era la classica funzione sociale degli sciamani che si ritrovava nella maggior parte delle culture native del mondo.
Avvertendo, dalla lettera della Pike, di essere vicini a una scoperta sensazionale, i Wasson decisero di partire quanto prima per lo Huautla, e lo fecero nel 1953. Per inciso, si resero anche conto in base alla descrizione della Pike che il fungo usato da questi Indiani non era la specie Panaeolus identificata in precedenza da Schultes: un motivo in più per affrettarsi a investigare.

Arrivati al caldo

Nell’agosto 1953, i Wasson riuscirono a ottenere la collaborazione di un curandero, uno sciamano messicano, e già questo era un grande risultato, in quanto gli Indiani erano riluttanti a parlare del fungo con i forestieri. Con il pretesto di desiderare notizie di ispirazione soprannaturale su loro figlio, i Wasson ebbero il permesso di partecipare a un rito del fungo durante il quale lo sciamano ingerì funghi sacri per ottenere le informazioni richieste. Sfortunatamente, lo sciamano era l’unica persona a cui era consentito di consumare il fungo, dunque i Wasson non ebbero la loro iniziazione.
Lo sciamano, sotto l’effetto della psilocibina, fece tre specifiche predizioni riguardo al figlio dei Wasson: predizioni su cui, all’epoca, Wasson faceva dell’educato umorismo, dato che non credeva minimamente alla capacità della psilocibina di produrre vera chiaroveggenza. Dopotutto, il suo interesse era sempre sopratutto accademico, e si imponeva di mantenere un forte scetticismo nei confronti di qualsiasi credenza soprannaturale. Come emerse in seguito, tutte e tre le predizioni dello sciamano si rivelarono vere, e Wasson non sapeva spiegarselo. Era una coincidenza? O era un autentico caso di paranormale? In ogni caso, i funghi misteriosi esigevano uno studio più approfondito, che si preannunciava molto interessante.
La testimonianza dettagliata della cerimonia del fungo doveva costituire il capitolo topico di Mushrooms, Russia and History, ma proprio quando il libro stava per andare in stampa, nel giugno 1955, giunse una nuova conquista. Anzi, era la conquista più importante, che divenne il punto nodale della carriera di studioso di Gordon Wasson. E diede anche vita a un nuovo capitolo del libro, nonché a quell’influente articolo sulla rivista Life. Il banchiere newyorkese di mezza età diventato etnomicologo fu il primo occidentale a consumare deliberatamente i funghi sacri messicani e a scorgerne la gloria enteogena.

Esplode il mistero su Life

Wasson raccontò ai lettori di Life come, nel profondo sud del Messico, in un piccolo villaggio dell’Oaxaca, si era guadagnato nuovamente la fiducia di uno sciamano locale: una donna di nome Maria Sabina, sotto la cui guida aveva avuto il permesso di ingerire i funghi sacri.
Come tutti i buoni empiristi, Wasson era determinato a restare oggettivamente distaccato e a evitare qualsiasi effetto psicologico eccessivo, così da poter analizzare con più chiarezza la natura di quell’alterazione di coscienza divinizzata che generava il fungo. Per quanto questi sforzi siano nobili, però, in genere si dimostrano inutili di fronte agli enteogeni potenti, e non ci si può che arrendere completamente alle alterazioni globali dell’attività mentale che iniziano a emergere. Confinato nell’oscurità della capanna, Wasson iniziò a sperimentare gradualmente il potere celato nel fungo. Davanti ai suoi occhi comparvero delle visioni tanto intense e profonde da sfociare nel regno ineffabile del misticismo religioso.
Iniziarono come vividi motivi artistici dalle forme spigolose, come se ne vedono sui tessuti e sui tappeti. Poi le visioni mutarono in palazzi e giardini risplendenti fatti di pietre preziose. A un certo punto, Wasson percepì una grossa bestia mitologica che tirava un carro regale. Poi sembrò che il suo spirito si fosse liberato dai vincoli del corpo e fosse sospeso a mezz’aria, contemplando enormi montagne che si innalzavano verso il cielo. Wasson confessò che le visioni erano così nitide da sembrare più reali di qualsiasi cosa avesse mai visto con i propri occhi: qualcosa di simile agli archetipi del Mondo delle Idee di Platone.

In Mushrooms, Russia and History, la descrizione delle esperienze visionarie di Wasson è più esplicita che nell’articolo di Life. Ciò che inizialmente doveva essere il primo libro di etnomicologia, incentrato sull’antico sciamanesimo siberiano, si era ora trasformato in una testimonianza personale dell’esperienza mistica. Uno sviluppo davvero inaspettato, se si pensa che il protagonista era un uomo normalmente interessato al mondo della finanza, e per di più non dichiaratamente religioso.
I lettori dell’articolo di Life erano anche stati informati su ciò che gli stessi Indiani messicani dicevano a proposito del fungo. Secondo gli Indiani, i funghi “ti portano dove c’è Dio”. Quando parlavano del fungo mostravano totale venerazione e rispetto.
Non era come le droghe o l’alcol, assunti con leggerezza per annegare i propri dispiaceri o estraniarsi dalla realtà. Al contrario, gli sciamani nativi usavano i funghi per motivi oracolari finalizzati alla guarigione e alla profezia.
Wasson aveva acquisito molta familiarità con le tradizioni sacre degli Indiani, dunque era molto preoccupato di ritrarre ai lettori questo fenomeno culturale in una luce di dovuto rispetto. Nessun indiano mangiava il fungo con leggerezza per cercare l’eccitazione, anzi ne descrivevano l’uso come muy delicado, ovvero “pericoloso”.

Wasson era un uomo profondamente ispirato, e non fu soltanto il primo occidentale a documentare l’esperienza della psilocibina, ma anche il primo a raccontarne in ragionevoli termini psicologici gli effetti misteriosi, tanto che le sue incerte congetture rimangono valide ancora oggi. È interessante pensare che se lui non avesse avuto un’esperienza spirituale così profonda, o se la sua mente non fosse riuscita a controllare l’attacco violento di un dialogo visionario, il fungo messicano sarebbe potuto restare un fenomeno sepolto ancora ai nostri giorni.
Nonostante il diffuso interesse generato dal suo articolo su Life, in seguito Wasson scelse, forse saggiamente, di prendere le distanze dalla cultura hippy degli anni Sessanta, che andava orientandosi verso droghe sintetiche come l’LSD. Si preoccupò invece di indagare sul ruolo dell’amanita muscaria negli antichi culti indoeuropei di Soma. In seguito continuò a dare un prezioso apporto alle nostre conoscenze sull’uso dei funghi psilocybe da parte degli Aztechi e dei Maya nell’antica Mesoamerica.     ∞

[Nella foto a destra: Roert Gordon Wasson e la moglie Valentina]


L’autore:

Simon G. Powell è uno scrittore, musicista, regista e sceneggiatore che vive a Londra. Dopo la laurea allo University College di Londra nel 1992, l’eccessivo uso di psilocibina ha indotto in lui una prolungata “febbre da fungo”, che lo ha spinto a scrivere numerosi libri, tra cui Darwin’s Unfinished Business, di prossima pubblicazione nel 2012. Ha sceneggiato e diretto il film in DVD Metanoia: A New Vision of Nature. Attualmente scrive per Earth 2 Channel. Il suo sito Web è all’indirizzo http://www.thepsilocybinsolution.com.

Nota di redazione:

Questo articolo è estratto dal primo capitolo, “Sacred Ground”, del libro di Simon G. Powell The Psilocybin Solution (Park Street Press, Rochester, Vermont, USA, 2011, http://www.ParkStPress.com). Per maggiori informazioni:http://www.thepsilocybinsolution.com.


Tratto da NEXUS New Times n.94, Ottobre – Novembre 2011


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